Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Direttore de «il Borghese»
vincesse ancora Berlusconi?». Su La Stampa del 20 gennaio, Luca Ricolfi pubblica un editoriale, così titolato nel quale afferma «…a questo punto, l’ipotesi non può essere scartata completamente: Berlusconi potrebbe vincere le elezioni. Improbabile, a tutt’oggi. Ma non impossibile». Su l’Unità gli fa eco Bruno Bongiovanni: «In pochi hanno creduto davvero alle promesse del capoccia di Arcore. Eppure, è durato. Per consenso, certo, ma anche per inerzia, per la forza della continuità, per l’esibizionismo televisivo di quanti hanno sgovernato».
Ricolfi indica, a favore di Berlusconi, due fattori: i sondaggi ed il fatto che, in Italia, al voto vince sempre chi in quel momento sta all’opposizione. Nei sondaggi, sin dai tempi della DC, le cifre, per evitare «figuracce», sono «limate» dai sondaggisti in funzione dell’umore dell’elettorato. Quando Berlusconi fu «dimissionato» e sostituito da Monti, tutti, nell’eventualità di elezioni anticipate, davano come vincente il PDdi Bersani, perché all’opposizione con il governo Berlusconi.
Poi arriva Monti. Bibì e Bibò sono «cooptati» da Re Giorgio (a proposito, che fine ha fatto?) a fare da stampelle al «professore». Berlusconi, perché ricattato negli affetti e nei denari; Bersani, perché abbagliato dalla prospettiva di andare al governo. Fregati tutti e due. Monti prosegue tranquillo nella sua opera, il Paese inizia a capire di aver «ucciso il porco sbagliato» ed incomincia ad incazzarsi. Ecco «salire» alla ribalta Grillo. I Palazzi romani della vecchia politica iniziano a tremare.
Nel frattempo, Berlusconi, si prepara. Accorpa tutte le sue fortune in una sola società e ci mette dentro i figli (di primo e secondo letto), salvando così l’impero. Poi, chiude la questione divorzio: liquida Veronica Lario, con una pensione a vita di 100mila euro al giorno. E siamo ad oggi.
Provocando la caduta di Monti, Berlusconi si è presentato al Paese come l’unica opposizione e quindi papabile per la successione. Bersani, infatti, rimanendo attaccato al carro del governo, si è automaticamente escluso e ha lasciato il boccino al cavaliere. In tutto questo pandemonio, il centro, pur indicando nell’agenda di Monti il toccasana per il Paese, intende sfruttarlo per salvarsi il posto in Parlamento, diventando l’ago della bilancia per qualsiasi ipotesi di alleanza, impedendo, di fatto, il governo.
Manca un mese al voto e il Cavaliere in venti (diconsi 20!) giorni ha ribaltato ogni pronostico. Dato per morto e sepolto dalla politica di mestiere, con Bersani che già si vedeva a Palazzo Chigi, dopo la buffonata delle primarie, mentre Monti «saliva» in politica contro il suggerimento dello stesso Re Giorgio (a proposito, che fine ha fatto?), il Cavaliere impazzava in televisione, sulla rete, ovunque potesse infilarsi … fino alla «magica» serata da Santoro e Travaglio. A fargli compagnia, da supporter fra il pubblico, il mitico «Cipollino» in arte Massimo Boldi, da sempre amico del Cavaliere ed elemento di spicco delle televisioni Mediaset.
Da questo momento Berlusconi ha facile vittoria. Costringe tutti gli altri a seguirlo sulla strada della comunicazione mediale, usa come spalla giornalisti a lui contrari, insomma offre il meglio del cabaretpolitico.
Tutti propongono programmi che non si sa se saranno realizzati. In alcuni casi, vedi Monti e Bersani, smentiscono quanto fatto fino ad oggi in materia di tasse e lavoro, annunciando l’abrogazione dell’IMUe, addirittura, modifiche alla riforma Fornero, osannata fino ad ieri.
Perché, allora, secondo Ricolfi e la maggior parte dei giornali di sinistra, Berlusconi è il nemico da «ab-battere»? Perché il berlusconismo non nasce nel ‘94.
Dobbiamo tornare all’11 ottobre 1988, quando dagli Studi Deardi Roma, viene trasmessa la prima puntata di Drive In. Ideata da Antonio Ricci, scritta dallo stesso ed altri autori nel corso degli anni, fu l’erede naturale di Carosello.
Carosello, che la Rai ripropone in edicola in questi giorni, fu il tentativo, ampiamente riuscito, di coniugare spettacolo e «consigli per gli acquisti». Il meglio del teatro e del cinema italiano di quell’epoca, non disdegnò di farvi una «comparsata» portando alla identificazione, presso il pubblico, del prodotto con il personaggio.
Drive In, grazie a personaggi come Gianfranco D’Angelo, Ezio Greggio, Enrico Beruschi, Giorgio Faletti ed altri, ma specialmente per merito delle «grazie abbondanti» di «femmine» come Carmen Russo, Lory del Santo, Tinì Cansino, Cristina Moffa e Eva Grimaldi, è sicuramente la trasmissione comica più rappresentativa della tvcommerciale degli anni ‘80. L’abilità nel saper montare sketch comici, balletti e gag fulminanti con gli spot commerciali, senza interrompere il ritmo della trasmissione, ne decretò il successo popolare. La RAIcercò di combattere il fenomeno, grazie alla bravura di Arbore, con Quelli della notte (1985) e Indietro tutta! (1988). Fu inutile. Il solco era tracciato.
Ecco il vero berlusconismo, quelle delle battutacce, delle gag, delle tette e delle cosce, intervallate da «consigli per gli acquisti». In trent’anni, questo modo di fare televisione ha trasformato l’Italia in un serbatoio di voti per «l’amore nostro».
Questo è il guaio, per lui le campagne elettorali sono i «consigli per gli acquisti», intervallati dagli sketch dei suoi governi.
Allora, comico per comico, preferisco Grillo. Almeno non mi prende per il culo.
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