Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
arriera addio, vince la felicità. Titolava così l’articolo su R2 di «Repubblica» che ha mandato in bestia il bravo giornalista economico Oscar Giannino, il quale ha deciso di dedicare una puntata del suo programma quotidiano su Radio 24, La versione di Oscar, ad uno studio compiuto da Future Pool (oggetto del pezzo del quotidiano di largo Fochetti).
A quanto pare, in seguito alla crisi economica sempre più pesante e alle prospettive tutt’altro che rassicuranti, gli italiani hanno cominciato a rivedere i valori ai quali affidarsi. Si scopre così che l’85% dei connazionali ritiene che la felicità valga più del denaro, mentre per il 70% la famiglia viene prima del lavoro. Il 78% dice che la crisi ha portato a modificare le proprie priorità. Quest’ultimo elemento era dirimente: la mancanza di denaro ne riduce l’importanza orientandoci verso altro.
Francamente queste percentuali mi avevano un po’ riconciliato con i miei simili. E invece Giannino si è arrabbiato giudicando (sintetizzo brutalmente) il ripiegamento sui valori intangibili una sorta vigliacca fuga dalla pratica del liberismo avanzato che dovrebbe salvarci dalla catastrofe.
Macchè sentimentalismi, dice il giornalista, macchè valori familiari e culturali, rimboccarsi le maniche e lavorare il doppio per risarcire il debito! Nei momenti di crisi ecco che gli italiani invece di mostrare la propria virilità, diventano mammolette emotive.
Oscar Giannino si intende di economia ed è un liberista puro, anzi di più. Ma anche senza essere esperti o liberisti è ovvio a tutti che per evitare la bancarotta non bastano i buoni sentimenti.
C’è però un baco nel ragionamento del giornalista, e in generale in quello di coloro che fanno del capitalismo una sorta di chiesa alla quale aderire totalmente e incondizionatamente.
L’uomo non è solo carne e sangue, bisogni materiali e competizione spietata.
Il benessere non è solo quello del denaro, ma anche quello dell’anima.
Il liberismo selvaggio di Giannino non è molto differente dal comunismo, in entrambe i casi l’anima, lo spirito, il sentimento, i valori ideali non contano.
Mi piacerebbe anche sommessamente far notare che se il comunismo è agonizzante il capitalismo non se la passa molto meglio.
Ma forse qualcuno, che ha studiato le complesse dinamiche dell’economia e della finanza, mi obbietterebbe che semplifico troppo e sbaglio. Può darsi.
Sono però sicura di una cosa. L’idea di Giannino, e di tutti quelli che la pensano come lui, di concentrare tutto, solo e unicamente sul raggiungimento del profitto a scapito di ciò che fa crescere l’essere l’umano interiormente, perché improduttivo, è sbagliata profondamente e porta al baratro definitivo.
Il problema del nostro paese dove ormai sembra che tutti cerchino scorciatoie per ottenere il massimo con il minimo sacrificio a spese del vicino, dove i falsi invalidi sono più dei sani, i pensionali giovanotti palestrati, i politici ... lasciamo perdere; dove gli studenti pagano l’università o la scuola privata per studiare meno e non per imparare di più, in un paese come questo il problema, caro Giannino, è proprio culturale.
Culturale perché sentimentale. Da tempo immemorabile nessuno ci insegna a amare l’Italia ( ah l’orrendo sentimento, la retorica dell’amor di patria!) quindi non amiamo i nostri vicini, (potenziali rivali nella corsa al nostro benessere), e finiamo per non amare proprio nessuno, noi dobbiamo imparare a cavarcela da soli ciascuno è solo con la propria capacità lavorativa, la famiglia diventa una faccenda obsoleta a meno che non si tratti di cumulare due stipendi.
Così non funzionerà mai, e infatti non funziona da nessuna parte. L’uomo prospera nel benessere, ma vive solo se crede in qualcosa, e non si prospera se non si impara a vivere.
Una dissennata, prevaricante, disumana ideologia dei consumi ha avuto il sopravvento senza il bilanciamento di un’educazione dell’anima. E questi sono i risultati.
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