Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
ra le tante “assenze” di una campagna elettorale giocata al ribasso (senza ali, nè grandi aspettative e neppure programmi degni di nota) quella delle giovani generazioni è l’assenza più significativa. Di giovani si parla a “corrente alternata”, ma senza grandi slanci. Loro stessi paiono poco convinti del loro ruolo e delle loro potenzialità, rinserrati – come sono - nelle percentuali sulla disoccupazione, nella precarietà diffusa, nella fuga dalle Università, nella condizione di eterni ragazzi (fino a trent’anni ed oltre) al seguito di genitori protettivi. Assenti dai programmi dei partiti (se non in qualche formale passaggio sugli immancabili incentivi per la prima occupazione) i giovani sembrano avere smarrito il “senso dell’avvenire” a cui – per decenni – era stata legata la loro immagine.
A ridosso del ’68, Ugo Spirito dedicò loro perfino un saggio (“L’avvenire dei giovani”, Sansoni, 1972), saggio che appare in alcune parti datato, ma che certamente – visto anche l’autore, uno degli ultimi maestri della tradizione filosofica italiana - è tutt’ altro che banale, nel suo accento sulla contrapposizione tra “individuo sociale” e “individuo privato”, vedendo nel primo il “prodotto” delle trasformazioni del sapere in sapere specializzato e quindi della nascita dello “specialista”, collaboratore di altri specialisti. In questo passaggio dall’individuo tradizionale all’individuo sociale, Spirito immaginava “una convivenza tra eguali, in cui la voce di ognuno si fonde con quelle degli altri, in una comunanza di azioni che dà significato a tutti, indipendentemente dal valore dei singoli”.
Erano i primi Anni Settanta, anni in cui – citiamo sempre il filosofo del “problematicismo” – si “affacciano le prime richieste di una preparazione collettiva, di votazione unica, di esame di gruppo e via dicendo”, anni di protesta, del “no puro e semplice che si esprime con forme estremistiche e distruttive”.
Oggi, a quarant’anni da quelle analisi, è il loro ribaltamento che può aiutarci a cogliere i nuovi elementi costitutivi di un autentico “avvenire per i giovani”, intorno al quale richiamare le giovani generazioni al confronto e all’impegno e da proporre quale realistica alternativa.
Se il passato è l’egalitarismo massificante, l’annullamento sociale, il rifiuto anarchico, le domande dei giovani d’oggi e quindi gli elementi costitutivi del loro avvenire non possono non essere la meritocrazia, l’affermazione di sé, la partecipazione creativa.
E’ rispetto a questa sensibilità, presente nelle pieghe del vissuto giovanile, che occorre iniziare a dare risposte, risposte culturali, sociali, politiche.
Ecco allora un primo punto, che ci piacerebbe vedere portato al centro del confronto politico-programmatico: ad ogni giovane che voglia costruire il proprio avvenire (e quindi quello nazionale) occorre garantire il diritto di vedere riconosciuti i propri meriti, cosa che non è, fino ad oggi, avvenuta, vuoi per un’ errata concezione dell’uguaglianza, vuoi per gli “inquinamenti” partitici e “baronali” che spesso hanno provocato una selezione alla rovescia.
Il riconoscimento dei meriti è il primo passo per garantire il libero sviluppo della personalità e l’autentica “liberazione” dei giovani. Tramontato il tempo dell’”individuo sociale”, caro a certa cultura macchinistico-industrialista, è la mobilità sociale, l’aggiornamento permanente, l’innovazione a segnare la nuova “filosofia del lavoro”. Ed è dunque rispetto a questa nuova filosofia che è necessario riparametrare una cultura ed i modelli organizzativi che intorno ad essa vanno emergendo.
Questo introduce un nuovo dato: la partecipazione. Essere partecipi, fare parte, sentirsi parte di un progetto, è la grande aspettativa giovanile, un’aspettativa che – sia chiaro – non ha niente di massificante, non può essere comprata – come tenta di fare la sinistra – a colpi di sussidi di disoccupazione , ma che si coniuga con il diritto alla meritocrazia, con il riconoscimento dei talenti individuali, con la pienezza di un avvenire autentico.
Un discorso di qualità dunque e di valore, quello che bisogna sapere leggere tra le pieghe del vissuto giovanile, molto più concreto di quanto non dicano certi stagionati guru “progressisti” e, nello stesso tempo, pronto ad accettare le sfide del cambiamento, intorno a cui si giocano le sorti del Paese. Bisogna però parlarne. Bisogna affinare sensibilità e modalità d’intervento, chiamando ciascuno a fare il proprio dovere.
“La gioventù di un grande Paese – diceva Abel Bonnard – in tempi felici riceve esempi, in tempi di crisi li dà”. Mai come oggi c’è bisogno di “esempi” (culturali, sociali, politici) in grado di saldare vecchie e giovani generazioni, superando finalmente una condizione, giovanile e non, senza avvenire. Ne ha bisogno l’Italia. Ne abbiamo bisogno un po’ tutti. Per tornare a sperare – quia absurdum – di uscire dal tunnel della crisi in cui siamo precipitati.
Inserito da MARIO BOZZI SENTIERI il 15/02/2013 12:36:17
D’accordo con le considerazioni di Giovanni Attinà, che pone altre questioni rispetto a quanto sintetizzato nel mio intervento. La “questione giovanile” è ampia e complessa e non può certamente essere risolta in poche righe. Il mio invito è duplice: i giovani prendano consapevolezza della loro condizione (senza facili strumentalizzazioni di parte) e puntino ad un reale cambiamento (al di là dei piccoli orizzonti dell’assistenzialismo). Il discorso sulla meritocrazia rimane centrale per sconfiggere ogni conservatorismo baronale, nelle professioni, nelle università, sui luoghi di lavoro.
Inserito da ghorio il 15/02/2013 09:37:24
Nel suo articolo Mario Bozzi Sentieri evidenzia e"fotografa" una situazione reale con il mondo giovanile che non trova la valorizzazione che merita. C'è il richiamo alla meritocrazia e va bene ma non si vive solo di quest'impostazione così cara a destra. Non è solo questione di meritocrazia: i giovani desiderano certezze per l'avvenire e questa società è insensibile. Anche la questione dell'età pensionnabile, salvo poi che una personna a cinquant'anni viene considerata vecchia, ha generato una situazione che li penalizza. Non parliamo poi delle professioni liberali che con il perpetuarsi delle corporazioni, leggi "ordini", sicuramente non è nella direzione giusta. Quanto alla fuga dalle Università che ha destra viene commentata, a volte , come aspetto positivo non è da considerare in questa direzione. La frequenza dell'Università è legata anche alle tasse che si pagano, adesso elevate. Non solo, a furia di "numero chiuso" per alcune professioni ci ritroveremo magari senza medici, perchè su un giovane che supera il test, ci sono magari 100 che sono più bravi. Non parliamo poi delle prospettive di lavoro: la laurea, per esempio, può esser considerata come fatto culturale, ma poi i giovani, quando vengono assunti, per qualsiasi incarico, non trovano la retribuzione dignitosa, a diffferenza di come avviene in altre nazioni, dove la precarietà è pagata il doppio o il triplo di quello che avviene in Italia. Di conseguenza per i giovani, che sono il futuro, non bisogna solo promettere ma "fare", affinchè il loro percorso possa essere favorito nella società. Giovanni Attinà
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