Editoriale

Arresti indiscriminati, magistratura come uno stato nello Stato, un Papa che rinuncia. Fine del nostro mondo

Non abbiamo più prospettive, politiche, economiche, spirituali, a parte quella di andare in galera se un magistrato ci prende di mira o qualcuno gli dice di farlo

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

egli ultimi giorni, sollecitato da vari avvenimenti, ho molte idee che mi frullano per la testa. Sembrano tra di loro slegate, eppure sento che qualcosa le tiene assieme. Provo a comprenderlo abusando della vostra complicità. In primis le “dimissioni” di papa Benedetto XVI: e già a scrivere dimissioni, mi corre un brivido sulla schiena che mi paralizza l’anima.

Da nessuna parte ho letto con chiarezza il mio pensiero, ma non credo di essere l’unico ad averlo formulato nella propria testa: se è vero che il successore di Pietro viene eletto per volontà dello Spirito Santo e non da un consiglio di amministrazione, un papa non si può dimettere come se fosse il presidente di una multinazionale. Il suo gesto, sul piano umano rispettabilissimo, su quello della fede mi lascia - perdonate l’eccesso di disinvoltura lessicale - assai perplesso, anche avvilito. Forse, o addirittura probabilmente, sarà un gesto importante per la segreteria dello Stato Vaticano, non è lo stesso per la Chiesa, per la fede. E’ come se il potere temporale avesse definitivamente preso il sopravvento su quello spirituale. Non si sciolgono i matrimoni uniti con il sacro vincolo e con la formula “ciò che ha unito Dio l’uomo non separi” e si possono dare le dimissioni dal Sacro soglio? Non è mia intenzione avvallare teorie di complotti e di guerre interne alla Curia, non mi interesso. Sono un fedele, ci provo ad esserlo (“io credo, Signore aiuta la mia poca fede” scrive San Marco), nel Papa non vedo l’uomo e se lo vedo, mi vergogno di aver commesso quel che a me pare, un atto impuro. Ho amato Giovanni Paolo II anche per la sua straordinaria figura umana (ovviamente), ma ho detestato coloro che, nel bene o nel male, hanno disgiunto (fino all’ultimo) la sua attività politico-diplomatica da quella spirituale, o coloro che ne hanno fatto una specie di icona pop. Rammento con ribrezzo la fila di pseudo fedeli, che dinnanzi al suo feretro scattavano fotografie.

Abbiamo bisogno di spiritualità, di elevazione morale. Dobbiamo imparare ad emanciparci dal possibile e dal calcolo. Che il Signore mi perdoni (e anche voi che avete la pazienza di leggere), ma non sono affatto d’accordo con tutti coloro che hanno solidarizzato con Joseph Ratzinger (che ho apprezzato come teologo e intellettuale straordinario), non si abdica come un Savoia qualunque se si crede nel carisma dello Spirito Santo.

Ecco, passo dal sacro al profano (avevo avvisato che i miei pensieri sono slegati), con una rapidità quasi schizofrenica. Cos’è in uno Stato il corrispettivo spirituale dello Spirito Santo, del dogma in genere?  Lo statuto del segreto di Stato. O ci credi o non ci credi: o credi che, per il bene della nazione, ci siano notizie che non si possono divulgare e che coloro che hanno agito per il bene dello Stato siano al di sopra di giudizio, o niente, neanche credi nel concetto di Stato. I giudici della Corte d’Appello di Milano che hanno condannato a 10 anni di reclusione Nicolò Pollari e a nove anni Marco Mancini, nel processo agli ex vertici del Sismi sulla vicenda del rapimento dell’imam Abu Omar, a mio modo di vedere, credono nella Magistratura come se fosse uno stato nello Stato. Il verdetto è devastante. Delegittima lo Stato da una parte e la rete dei nostri servizi dall’altra. Con tale ingerenza della magistratura, l’Italia si pone fuori dalle dinamiche di tutte le nazioni occidentali. Non vedo più il motivo, per esempio, che i servizi di qualunque altro Paese, d’ora in poi, si sentiranno in obbligo di condividere informazioni con quelli italiani, se tali notizie riservate possono essere oggetto di indagine da parte di una procura qualunque. E il nostro Paese ha assai bisogno di essere dentro delle regole certe e nel contesto di reti internazionali, perché, lo sappiamo, appena ne escono, prendono facilmente dinamiche eccentriche, o meglio “deviate”.  

Ma tanto, l’Italia ha una sovranità sempre più minata da conflitti e attribuzioni di potere interni. Se fossi un complottista, penserei che ci sia una qualche regia internazionale, ma temo che, più semplicemente, il male noi ce lo procuriamo da soli.

Non è forse così (eccolo un altro pensiero slegato) che sta andando con l’affaire Finmeccanica? Mentre Il ministero della Difesa indiano ha avviato le procedure per la cancellazione del contratto di 12 elicotteri Aw101 di AgustaWestland, società del gruppo Finmeccanica, ed ha dato alla società italiana sette giorni di tempo per apporre le sue motivazioni sul perché il contratto non dovrebbe essere cancellato (il contratto, che risale al 2010, ha un valore complessivo di circa 560), oggi il presidente  francese Hollande e una nutrita pattuglia di suoi ministri e imprenditori è volato in India. Una gita che ci farà perdere parecchi quattrini. In una parola: Libia bis. Una storia già vista.

Certo, da noi tutto è ideologizzato e in perenne stato di campagna elettorale e ci si sbrana (termine tornato in voga) per capire la differenza tra provvigione e tangente. Un coro di anime belle si alza senza vergogna. Vorrei sapere il Governo Prodi e prima ancora tutti gli altri governi, come abbiano fatto a chiudere i contratti per le nostre aziende. Certo, la pratica è abnorme, odiosa, ma è una pratica, in alcuni stati addirittura tutta alla luce del sole. Nei Paesi arabi c’è l’obbligo, per esempio, di investire una percentuale dei proventi di commesse sul territorio della nazione firmataria, in altri si chiede di avvantaggiare e si sostenere politicamente nei consessi internazionali il governo, o il partito, che ha sottoscritto l’accordo commerciale. E’ il capitalismo. Le sue regole o la sua assenza di regole. Ma è in questo contesto che concorriamo. E oltre a Finmeccanica anche all’Eni è cominciato l’assalto delle Procure d’assalto. Nell’anno record delle esportazioni (7,13 miliardi, in crescita del 2,7% sul 2011 e un utile operativo adjusted di 19,75) di uno dei nostri pochi gioielli di famiglia, si indaga sulla controllata Saipem e sul mediatore algerino che avrebbe reso possibile la commessa internazionale. Ovviamente, anche ad Algeri indagano e magari, anche questa volta, metteranno in mora il contratto.

Vogliamo passare all’ondata di arresti a cui stiamo assistendo in questi giorni? Bene direte voi, che vadano in galera i ladri e gli approfittatori. Certo: ma a me avevano raccontato che vivevamo in uno stato di diritto. Né Rizzoli, né Proto, né Cellino, né Baldassarri (a quali non va cento la mia simpatia), hanno subito un processo. Ai miei tempi si chiamavano arresti preventivi. Ora non so, ma mi piacciono poco, ora come allora. Perché so bene che i ladri sono sempre altrove.

Pensieri slegati. Uno sfogo, forse. Ho trovato il senso di un possibile legame: in questo Paese vivo un profondo senso di disagio. Una difficoltà spirituale e sociale. Ontologica.  Precipito senza capire, nelle pieghe del capire: pian piano niente mi è più caro, nulla  - se mi guardo intorno - davvero sembra appartenermi. Anche sperare, ormai, mi sdegna un poco.

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