Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
entre scrivo, sono in corso le operazioni di voto, nel breve intervallo di “silenzio”, tra il frastuono di una campagna elettorale confusa, velenosa, più che mai gonfia di promesse, e il chiacchiericcio del dopo-voto. Non sono poche le novità di questa tornata, a partire dalla stagione: intanto, mai, fino ad oggi, si era votato d’inverno (fra l’altro, le condizioni atmosferiche all’insegna del freddo e delle precipitazioni lungo tutto lo Stivale minacciano di rafforzare il temuto astensionismo).
Ci sono poi alcune liste nuove di zecca, rappresentate, fin dal nome sui rispettivi simboli, da leader usciti dalla cosiddetta “società civile” (Monti e Ingroia); ma il principale fattore di novità, gravido di incognite, è costituito dal “Movimento Cinque Stelle” di Beppe Grillo e dalle dimensioni che potrebbe assumere il suo successo, una sorta di replica para-tecnologica de “L’Uomo Qualunque”, il movimento – poi trasformato in Partito – da Guglielmo Giannini, meteora della scena politica nel dopoguerra.
Sul movimento di Grillo è stato detto e scritto tutto: non resta che vederne alla prova gli esponenti nelle massime sedi istituzionali, dopo gli esordi a Parma e in Sicilia (esordi fino ad oggi non esaltanti). Qui, mentre si vota, vorrei formulare alcune considerazioni sparse, legate dal filo rosso dei rapporti – mai così deteriorati – fra eletti ed elettori, fra cittadini e politici.
Ancora una volta, ci si fa beffe della volontà popolare, disattendendo una delle poche acquisizioni positive della “Seconda Repubblica”: alcune delle forze in campo, infatti, neppure dichiarano quale sarà il Presidente del Consiglio che intendono indicare al Capo dello Stato (in primis il Movimento Cinque Stelle, ma anche il PDL ha lasciato praticamente nel dubbio i suoi elettori); altri partiti sono vaghi ed ambigui sulle possibili alleanze (il che, evidentemente, si ripercuote sui programmi di governo); altri – o meglio, un altro: il PD – preannuncia campagne di scouting (si fosse trattato di Berlusconi, i media le avrebbero definite “campagne acquisti”), depotenziando in tal modo la volontà espressa dagli elettori.
Eppure, un rimedio ci sarebbe: basterebbe abolire quel “senza vincolo di mandato”, che rende irresponsabile, di fronte al cittadino elettore, l’eletto, legittimando quel “cambio di casacca” che, a parole, tutti deplorano, ma sul quale, di volta in volta, tutti fanno affidamento. E poi parliamo di disaffezione nei confronti della politica…
Voto di scambio? Ma cos’altro è la politica se non esercizio del potere, capacità di mediazione e, appunto, disciplina dello scambio? (Rileggersi, per piacere, “Le categorie del politico”, di Carl Schmitt). Delega? Ma come se ne può fare menzione, nell’Italia di oggi, in cui la regola, come abbiamo appena accennato, è non solo tradire le promesse, ma addirittura non farne e ignorare la volontà popolare (basti ricordare l’esito di alcuni referendum)?
Comunque, si vota. Oppure, legittimamente, si esercita il diritto di non votare. Ma quali sono le ragioni del voto? L’appartenenza ideologica, che ormai è un fattore residuale, dopo l’archiviazione delle ideologie; la protesta, coefficiente sempre presente, ora rappresentato dalla pura e semplice astensione, ora dal voto – spesso definito “inutile” – a liste antagoniste o, appunto, protestatarie, che non si prefiggono l’ingresso nella stanza dei bottoni, bensì quello di testimoniare un disagio, una rabbia, un dissenso verso l’establishment; l’adesione a un progetto, che presuppone una scelta ragionata – e informata - dell’elettore.
Quest’ultimo sarebbe il caso delle democrazie mature, ma si può definire tale la nostra, dove sono state universalmente ignorate - se non in qualche sporadica invettiva – le influenze esterne e, in ogni caso, gli scenari internazionali? Quale progetto – ammesso che ve ne siano di autentici e praticabili, tra i partiti in campo – potrà essere attuato, sotto la pressione costante dell’Unione Europea, del Fondo monetario Internazionale, di questa o quella grande Potenza?
Si parla tanto di recupero della credibilità; ma un simile requisito non può limitarsi alla persona del leader: deve promanare da tutto un popolo, dalla sua capacità di vivere e crescere insieme, e perfino di manifestare un sogno, una grande visione in comune, dalla storia al futuro. L’Italia, purtroppo, non sembra in questa condizione, divisa com’è su tutto, l’un soggetto contro l’altro, non disposto a riconoscere le ragioni dell’avversario e anzi pronto a delegittimarlo sistematicamente.
Godiamoci allora questo effimero silenzio, prima della nuova fiera dei numeri, delle percentuali, delle proclamazioni di successi, veri o presunti. E poi presentiamoci all’esame dei Maestri fuori dei nostri confini: saranno loro, come troppe volte è accaduto nel nostro passato, a dirci che cosa dovremo fare.
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