Editoriale

E adesso poveruomo? Bersani nei guai con i grillini, meglio larghe intese con Berlusconi?

Potrebbero fare entrambi un passo indietro e assicurare la governabilità per un paio d'anni, il tempo delle riforme indispensabili

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

ciolto l’enigma, l’arcano non si svelerà tanto facilmente. Questa volta a Bersani sarebbe convenuto perderle le elezioni o, almeno, trovarsi a parti inverse con Berlusconi: la formula del “primo partito senza vittoria”, tradotto in politica significa: a quale debolezza dobbiamo affidarci? Il leader del Pd deve decidere solo se il suo partito perderà più credibilità ed elettori cercando la sponda di Grillo, o accettando un governo di larghe intese con il Pdl. Comunque sarà un salasso.

L’alleanza organica con il Movimento cinque stelle è quanto meno improbabile (a meno che i grillini non siano tutti agenti dei servizi deviati o una banda di pericolosi opportunisti e suicidi) sul piano dei contenuti. Su che programmi, oltre ad una legge sul conflitto di interessi, il Pd e i “ciuccia matite” potrebbero mai trovare una sintesi? Sul reddito di cittadinanza? E che ne pensano i sindacati? Sulla politica estera e sulla difesa, bisognerebbe sentire il sottosegretario americano Kerry, proprio in questi giorni a Roma. Sulle infrastrutture? Bene, lo spiegasse all’Unione europea e agli amici francesi che la Tav la vuole chiudere. E così via dicendo, in un percorso fatto di campi minati e sabbie mobili in una selva di impossibili soluzioni.

Quindi rispolveriamo la vecchia faccenda del governo di minoranza, con il consequenziale clima da riffa quotidiana: chissà come si sono svegliati oggi i grillini? Ma sì, Bersani caro, questo provvedimento te lo voto, quest’altro no, quest’altro ancora faccio finta di non vederlo, ma tu chiudi gli occhi per quest’altro ancora. Ora lo chiamano “metodo siciliano”, ma se va più o meno bene con Crocetta non credo possa andar bene a Napolitano.

Già, Napolitano. Siamo ancora una volta nelle mani del presidente della Repubblica più attivo e proattivo della nostra storia patria. La soluzione la troverà ancora una volta lui, il migliorista che negli ultimi anni ha condizionato la vita del suo partito da fuori, come mai gli era capitato da dirigente. Dopo il papocchio con Monti, speriamo si renda conto che deve, questa volta sì per il bene del Paese, far ingoiare la pillola (a dire il vero l’ennesima) a Bersani e alla dirigenza del Pd.

Il fatto è che Bersani, ripeto, deve scegliere se perdere l’appoggio dei centristi del suo partito, dando retta a Vendola e inseguendo Grillo (o provandolo ad addomesticare come chiede Repubblica), oppure perdere il consenso della sinistra ancora un po’ trinariciuta, cercando di venire a patti con Berlusconi per la costruzione di un programma asciutto, ma capace di garantire un biennio, al meno, di governabilità. Con buona pace dei mercati e delle cancellerie del mondo occidentale. Ritengo che questa seconda ipotesi sarebbe la più idonea per uno statista, ma Bersani è, a malapena, il segretario in scadenza di mandato di un partito in pieno fermento. Chissà.

Il destino di Bersani è parallelo a quello di Berlusconi e forse il segretario del Pd non l’ha nemmeno capito. Solo accettando un governo di larghe intese, potrebbe chiedere un passo indietro al leader del Pdl (e facendolo egli stesso) che, a tal punto, è tornato saldamente in sella al comando del suo partito. Altrimenti, nell’alleanza variabile e ballerina con il Movimento di Grillo, il consenso e la forza del cavaliere crescerebbero molto e probabilmente a dismisura. Grillo per Bersani è come lo scorpione per la rana. Ricordate? Solo che lo scorpione-grillo sa anche nuotare, anzi, saltare. E finirà che di Bersani ne farà a meno.

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