Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
on so se se lo meritava oppure no, certo è che la scomparsa della Destra come soggetto unitario e riconoscibile in Parlamento, a seguito delle elezioni, è incontestabile e traumatico. Non era mai accaduto dal 1948. Prima con il Movimento Sociale Italiano (sia pure nel 1976 con l'appendice scissionistica di Democrazia nazionale), poi con Alleanza nazionale, c'è sempre stata nelle massime assemblee rappresentative un movimento riconducibile ad una storia, ad una cultura, a dei valori che sono stati qualificati "di destra" e come tali sono stati percepiti e riconosciuti da masse crescenti di cittadini.
Non saranno i nove deputati di Fratelli d'Italia ed i pochi "destristi" sopravvissuti alla mattanza consumatasi nella compilazione delle liste del Pdl, a poter rappresentare la destra per quel che è o dovrebbe essere. Chi ritiene, mettendosi la coscienza a posto, che bastano appunto poche frammentarie e slegate, per quanto rispettabilissime presenze, riferite ad un mondo in via di estinzione (almeno dal punto di vista parlamentare), per poter sostenere che la destra esiste, vuol dire che si accontenta di poco. E magari cerca alibi alla propria inerzia.
La verità è che la destra è stata scientificamente asfaltata. Anche per la sua incapacità a reagire, come qui su "Totalità", abbiamo sottolineato più volte. Insomma, ha tirato i remi in barca salvo farsi viva quando le superstiti correnti che di tanto in tanto alzavano la testa più per dimostrare la loro esistenza che per organizzare un vero e proprio contropotere in un centrodestra devastato dal leghismo onnivoro ed antinazionale e da pulsioni relativiste cui non ha corrisposto, come era lecito attendersi una vera e propria battaglia per lo Stato, la coesione sociale, la sovranità.
Il risultato politico evidente è che sia coloro non si sono riconosciuti nelle formazioni di ascendenza "destrista”, rifiutando di seguire l'impervia e rispettabile strada intrapresa da Fratelli d'Italia o dal partito di Storace, che questi stessi soggetti, per quanto il primo abbia ottenuto una rappresentanza parlamentare, adesso sono senza casa. E tanto più lo sono anche i pochi che hanno trovato posto nelle liste berlusconiane, sia quelli eletti che coloro che sono rimasti fuori dal Parlamento.
I parlamentari provenienti da An che si sono acconciati a testimoniare le loro differenze, dando vita a Fratelli d'Italia e a La Destra (che non ha ottenuto seggi), da quello che doveva essere il partito unico del centrodestra, non credo, comunque, che possano sentirsi appagati della loro scelta, oltretutto bizzarra poiché motivata dal rifiuto di riconoscersi nel berlusconismo, ma poi oggettivamente funzionali ad esso avendo accettato di far parte della coalizione della quale il Cavaliere è stato il capo indiscusso.
Immagino che tutti, indistintamente, registrino adesso (con cinque anni di ritardo) il fallimento di un progetto affondato nel calderone di un centrodestra senz'anima, del quale il minimo che si possa dire è che non era maturo, né culturalmente, né tantomeno politicamente, per rappresentarsi come soggetto unitario. Fallimento suggellato dalla scomparsa politica di Gianfranco Fini e del suo velleitario partitino che, in verità, non è mai decollato proprio perché negava la destra in radice, ma questo al capo nessuno ha avuto il coraggio di dirglielo. Curioso che dalle file di Fli sia stato eletto al Senato soltanto Benedetto Della Vedova, radicale, libertario e laicista che con la destra, vecchia o nuova, non ha mai avuto niente a che fare.
La storia di questi ultimi cinque anni la si può leggere in tanti modi, ma credo che con la piega che hanno preso gli eventi si possa dire che la destra è stata "cannibalizzata" per non aver saputo esprimere all'interno del contesto berlusconiano una propria identità, fattore che ha pregiudicato il suo apporto alla costruzione del nuovo partito. Le responsabilità maggiori, dunque, sono soprattutto sue, avendo accettato la subalternità al berlusconismo in disarmo e la rinuncia alla sua stessa identità culturale rarefattasi con il passare del tempo impiegato nel maneggiare un potere che non ha saputo neppure usare soprattutto nei campi che si presumeva più congeniali: la cultura, l'istruzione, le politiche sociali e del lavoro. Il suo DNA, insomma, si è dissolto. E non poteva essere diversamente.
L'errore (che per molti è stato un orrore) di sciogliersi in un indistinto movimento a vocazione carismatica nel febbraio 2008 ha segnato la fine di An e l'inizio della fase più acuta dello scontro tra Fini e Berlusconi con gli esiti che sappiamo.
Il partito unico non era alla portata: operazioni del genere, che implicano la condivisione culturale e politica di un progetto che può affinarsi nel tempo attraverso una riflessione profonda, se non producono un amalgama sono destinati a fallire. Il "fusionismo" è una grade lezione che pochi a destra hanno appreso dal conservatorismo americano ed in particolare da Barry Goldwater inutilmente citato e richiamato per anni da scrive e non solo. Esso si fonda sulla necessità di non disperdere energie e risorse unendo tutti coloro che sono animati da una stessa visione valoriale del mondo e della vita. Quando mai nel centrodestra è stata avviata una discussione sulla consistenza identitaria derivante dalle cessioni di identità dei vari soggetti che hanno concorso a formarlo? Pochi, e per di più inascoltati, hanno sottolineato questa esigenza che, tradotta in termini politici, avrebbe portato ad una unione tra le diverse componenti fondata su una nuova cultura e su una più efficace e radicata rappresentanza territoriale.
La destra, forse più strutturata anche "ideologicamente" , avrebbe potuto offrire un apporto decisivo alla composizione di un movimento che, in senso europeo, si sarebbe potuto qualificare e rappresentare come "conservatore", dinamico e riformista nella sfera della modernizzazione istituzionale e sociale ed al tempo stesso custode dei principi della tradizione nazionale e popolare. Diciamocelo francamente: non è stata all'altezza appiattendosi su un berlusconismo di comodo che non ha giovato neppure allo stesso Berlusconi il quale avrebbe, molto probabilmente, tratto maggiori vantaggi politici dal contributo di una componente che non dimenticava se stessa ed era perciò in grado di intercettare quel suo elettorato che con fatica si è visto trascinare nell'indistinto di un sistema partitico che non gli apparteneva, che sentiva estraneo.
Non sarebbe stato certo un dramma se, constatata l'impossibilità della convivenza, si fosse dato luogo, nell'ambito del centrodestra, ad una federazione di soggetti, ognuno legato ad una ben precisa porzione di opinione pubblica. Dal punto di vista elettorale avrebbe consentito a tutti di cooperare per il bene comune di una coalizione composita e plurale nella quale le differenze sarebbero state il lievito della crescita fino a quando non fossero maturate le condizioni, in un sistema effettivamente bipolare, per la costruzione di quel "partito degli italiani" che è sempre stato l'obiettivo di una destra attestata sul fronte della pacificazione, alla quale nulla è risultato in questi anni più estraneo della contrapposizione muscolare tra avversari.
La destra, dunque, si è sostanzialmente dispersa, un po' per il fatto di non aver creduto nelle sue potenzialità, e un po' perché ha smarrito la sua strada cadendo in azzardi politicisti che hanno finito per perderla come comunità. Dopotutto, checché se ne dica, questa era la sua forza: una comunità di destino nella quale i principi dell'autorità, della gerarchia, del libero dialogo tra pari, il culto della memoria storica e del primato della politica, della lealtà e della fedeltà valevano più di ogni altra considerazione rispetto alle logiche di potere che l'hanno snaturata ben oltre la volontà di chi, probabilmente, si è distratto rispetto alle prospettive che il suo mondo nutriva.
Detto degli errori, su cui chi vorrà avrà tempo e modo di indagare, non è scusabile l'atteggiamento di vera e propria ostilità di quanti la destra l'hanno marginalizzata in vista delle elezioni. Utilizzando criteri a dir poco discutibili, smentiti da deroghe arbitrarie, si è fatta macelleria politica con allegrezza quasi. Tanto da ritenere che quella destra che Fini portò in dote a Berlusconi e che poi abbandonò non per fare un'altra destra, ma qualcosa di indistinto, confuso, incomprensibile, come si è visto, non ritenuta più utile ad un qualche scopo è stata messa fuori dal Parlamento.Tutti adesso, provenienti da uno stesso mondo, sono "fratelli separati": una storia che abbiamo già visto consumarsi a sinistra, ma ripetendosi a destra non si palesa come una farsa, contraddicendo per una volta il vecchio Karl Marx, bensì come una fuga dove non c'è niente e nessuno.
La fine di un movimento politico, comunque, non dà automaticamente luogo alla fine delle idee che storicamente lo hanno caratterizzato e che, bene o male, ha rappresentato producendosi, tra l'altro, in un lungo lavorio teso all'elaborazione culturale e al superamento di anticaglie che ne pregiudicavano l'agibilità sul terreno della partecipazione alla vita pubblica. Esiste una "destra diffusa", insomma. Attende che qualcuno la ricomponga sotto un tetto. E le dia un avvenire sia pure in un tempo che i protagonisti di oggi forse non riusciranno a vedere.
Inserito da minico il 26/03/2013 17:50:01
La scomparsa della destra è anche colpa sua e di quelli che come lei si sono venduti a berlusconi. Un Battipagliese che ha avuto la sfortuna di conoscerla
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
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