Editoriale

Destra sparita. Stati generali della Destra per dar vita ad un progetto popolare unendo le intelligenze

Bisogna tornare alla certezza della dimensione culturale, per poi tradurla in una chiara e persuasiva proposta politica

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

iamo qui, fermi, da ben prima di ieri, dove / la luce di una giornata finita altrove, / ci ha lasciato senza ore, ricordi e parole. / Scherzo del tempo: siamo quel che siamo stati, / lo siamo per sempre,  e mai più lo saremo. / Cadiamo più velocemente del nostro pensiero, /e stiamo fissi a pensare al dolore del cadere. // Non siamo la verità, ma nel nostro silenzio / la manifestiamo. Siamo il passaggio dal possibile al reale, / non siamo la verità, a modo nostro, siamo soltanto la vita.

Una poesia, forse, non è il modo migliore per iniziare un ragionamento politico, ma è la cifra di autenticità alla quale non ho mai voluto (e potuto) rinunciare che me lo impone. Chissà, probabilmente, è il modo di approcciare la politica (e la vita) che noi di Totalità abbiamo come sottaciuto manifesto. La bellezza ci ha individualmente salvato, e collettivamente unito. L’etica si svela nell’estetica, nello stile l’uomo trova il suo più autentico senso esistenziale, la forma dell’immateriale, la sua personale e irrinunciabile via nel mondo.

Non sarà bella la mia poesia, ma l’ho scritta in un impeto di necessità. La necessità, credo sia la misura interiore della verità. L’ho scritta appena a ridosso delle elezioni, pensando alla Destra, a tutto l’universo esploso ( o imploso?) della destra italiana. Ecco, essere di Destra non significa un bel niente se tale determinazione non passa attraverso una faticosa e strenua lotta con la vita, per trovare un significato più duraturo della vita stessa. Frequentare e vivere nel proprio quotidiano l’eternità mobile della Tradizione, il valore dell’onore dei padri da trasmettere ai figli per mezzo del proprio amore rigoroso e tragicamente, illogicamente generoso.

Per buona parte della mia vita ho pensato che essere di Destra significasse credere senza illusioni di riuscita, credere persino senza speranze e privi di oggetto, senza progetto addirittura.  Il singolo sovverte le regole, mi dicevo, fa saltare i piani alle teorie sociologiche e psicanalitiche. Il singolo non s’addomestica. Non abbisogna di sorreggere su stampelle ideologiche il suo innato sentimento della libertà e dell’individualità. Al tempo stesso, egli è capace di vivere sotto qualunque regime politico, anche il più tirannico, poiché reca l’autonomia indelebilmente impressa in sé, e l’afferma in ogni sua azione.

Poi, mentre pesavo queste cose un po’ solipsiste e forse sempre più apolitiche, ho visto alcuni miei vecchi camerati di strada guadagnare spazi di gestione e di potere (nel senso di “poter fare”) del Paese e ho sperato, non di emularli, ma di vedere realizzati dei sogni, i nostri sogni. Al di là della rivincita morale, e l’euforia un po’ parossistica di vedere diventato ministro o sindaco, qualcuno con il quale avevo condiviso notti ad attaccar manifesti, non è andata. Al potere erano giunte le persone, non il loro pensiero. Questo ho capito. E ho anche compreso che è stato soprattutto il deficit culturale, o il pudore di imporre una propria identità (che è deficit anche questo) all’interno dei governi e dei partiti, a decretare il quasi fallimento di quell’esperienza forse unica.

C’è stata una frattura gravissima tra il pensiero e l’azione di governo. Un tradimento, oserei dire, delle idee originarie, come se, d’un tratto, si fosse scoperto che dovessero essere accantonate, perché il potere omologa chi lo esercita. La destra di governo ha ripudiato i propri intellettuali, li ha ritenuti fastidiosi, se ne è anche un po’ vergognata. Alcuni li ha cooptati per disinnestarne il pensiero. Creando un meccanismo di frustrazione e di divisione diffusa all’interno. Un “ognun per sé”, ma  senza “Dio per tutti”.  Sappiamo come è andata. Mentre la nostra identità sarebbe stata il nostro Dio, siamo diventati politeisti, o per rimanere in metafora, degli atei.

C’è ora una Destra in Italia? Sì, nonostante la grande frammentazione dell’offerta politica e la sorprendente performance elettorale del Pdl, l’ultima tornata elettorale ci ha mostrato che alla sua Destra c’è una galassia tuttora viva e in fermento, anche se evidentemente ancora dispersa in molte interpretazioni di sé. Ecco, ciò oggi alla Destra manca, e s’impone d’essere, è un’idea dominante capace di includere, interpretandole, le diverse codificazioni sul piano culturale, prima ancora che su quello politico e che sappia, soprattutto, dipanarsi in modo prospettico. Non pare, dunque, e tutto sommato, essere l’identità a fare difetto alla Destra italiana, ma ciò di cui sembra aver immediato bisogno, è una sintesi espressa in un progetto capace di rinnovare i valori della sua Tradizione in proposte per il futuro.

 In una parola, bisogna tornare alla certezza della dimensione culturale, per poi tradurla in una chiara e persuasiva proposta politica. Per anni, invece, s’è data per scontata la prima a favore quasi esclusivo della seconda, con un evidente scadere di senso. La prova è la quasi totale ininfluenza, scontata in questi ultimi anni come un naufragio, della componente di Destra dentro al grande progetto del partito unico.

Oggi è quanto mai necessaria, come qualcuno ha già avvisato, una saldatura tra un ceto politico rinnovato (anche sul piano anagrafico) e l’universo disperso di ricercatori, giornalisti e studiosi che a questi argomenti dedicano da anni articoli, riflessioni e saggi: da un nuovo patto può nascere un soggetto politico a vocazione maggioritaria, che esprima un programma di governo e non solo una prospettiva ribellistica o marginale.

A tal scopo sarebbe utile convocare una sorta di “stati generali della Destra": immagino una o più giornate di riflessione nella quale vengano invitati i responsabili delle Fondazioni, delle testate giornalistiche e delle riviste che animano il mondo della Destra italiana, così come alcuni dei tanti studiosi e intellettuali che sull’argomento hanno focalizzato per decenni le loro ricerche. Ma senza che nessuna parte o partito, si intesti, ancora una volta, la primogenitura del progetto o voglia applicare una improbabile egemonia sugli altri. La Destra o è di popolo o non è. La Destra o è visione complessiva del mondo o è deriva qualunquistica. Ci vuole un progetto popolare e non populistico, dunque,  e può nascere (o ri-nascere) solo iniziando ad unire le intelligenze. La politica segua, una volta per tutte, ascolti.

La Destra non è grillismo, non ha bisogno del “porcellum” per andare in parlamento, si batta strenuamente per ristabilire un sistema elettorale che premi gli individui e il merito, ma da queste nuove forme di aggregazione e di consenso sappia anche prendere esempio.

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