Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
PRIMA E DOPO L'INCENDIO
Ci sono avvenimenti che scuotono le coscienze, che gettano nello sconforto e nel dolore città, popolazioni intere. Ci sono avvenimenti che ti lacerano dentro e, come un bisturi affilato, fanno affiorare la carne, i tessuti più profondi di un corpo. Se avesse consistenza corporea, potremmo dire fanno affiorare l’anima.
Ecco, il rogo della Città della Scienza, per me, è stato il bisturi che ha tirato fuori la mia anima partenopea, con tutta la sua carica di passionalità dolente e rabbiosa.
E mentre la lama incideva, mi tornavano alla mente le parole strazianti di Munasterio ‘e Santa Chiara, la canzone scritta nel 1945 in ricordo del terrificante bombardamento dell’agosto del 1943 che violentò, come non mai, Napoli e ridusse in macerie l’antica chiesa di Santa Chiara.
Dice che c'è rimasto sulo 'o mare,
che è 'o stesso 'e primma...chillu mare blu!
…
Ma pecché, pecché ogne sera,
penzo a Napule comm'era,
penzo a Napule comm'è?!
…
Paura?...Sí...Si fosse tutto overo?
Si 'a gente avesse ditto 'a veritá?
Tutt''a ricchezza 'e Napule...era 'o core!
dice ch'ha perzo pure chillu llá!
Queste parole interpretano lo smarrimento di fronte alla devastazione della guerra e alla lontananza che amplifica dolore e rabbia. E lo stesso sconcerto sentiamo tutti noi che, seppur distanti geograficamente, non smettiamo di essere partenopei. Mai, davvero. Perché il luogo dove si abita è la casa, ma il sangue e la carne appartengono al luogo delle tradizioni familiari, della nostra storia, delle nostre origini.
La notizia del rogo della Città della Scienza è stata più devastante di un cataclisma, perché il cataclisma ha l’ineluttabilità dell’evento naturale e, per questo, appare più accettabile. Qui, sebbene ancora non si sia detta una parola definitiva sulle cause e sulle modalità dell’evento, tutto fa pensare, purtroppo, ad una mano violenta.
E allora, viene da chiedersi, perché?
Se la cultura non interessa nessuno, se la cultura viene costantemente bistrattata, perché?
Perché colpire un’istituzione di eccellenza, simbolo di quella Napoli capace con cultura, fantasia, passione di trasformare zone ad alto tasso di degrado in zone dove storia, natura e riconversione ambientale danno lavoro onesto a migliaia di famiglie regalando alle centinaia di migliaia di visitatori all’anno ore di istruttiva gioia?
È vero, le fiamme non hanno fatto vittime, ma non sono vittime, la speranza dei giovani, l’orgoglio di una ritrovata dignità dei più anziani, e tutte quelle famiglie che hanno perduto il lavoro?
Vuoi vedere, allora, che la cultura può fare paura tanto da essere considerata un nemico da abbattere? Riflettiamoci bene.
La Cultura è il nemico principale della violenza, il suo antidoto naturale.
La Cultura ci protegge dalla violenza, senza violenza.
Dalla sopraffazione, senza sopraffazione.
E se non c’è più l’incanto delle vetrate che si affacciavano sulle spiaggia di Coroglio, con Nisida che sembrava si potesse toccare allungando una braccio, se sono stati devastati dalle fiamme i binari, ricordo delle vecchie strutture dell’Ilva, che dal mare emergevano come creature spettrali imboccando le ampie volte dei capannoni dove le voci urlanti delle maestranze e lo stridore del ferro di quel tempo lontano avevano lasciato spazio alle grida gioiose di bambini, ragazzi alle scoperta delle magie della gabbia di Faraday o delle costellazioni nel suggestivo planetario, se tutto questo non c’è più, non vuol dire che tutto questo sia morto.
Vive e vivrà nella nostra mente e nei nostri cuori.
E darà forza alla ribellione della Cultura, non solo di Napoli, ma di ogni luogo che in essa verrà ferito.
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