Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
on c’è bisogno di scomodare Benedetto Croce e il suo “perché non possiamo non dirci cristiani”, per comprendere il vuoto esistenziale avvertito dai romani durante la Sede Vacante e la loro gioia, nel momento in cui è stato annunciato a tutto il mondo “Habemus Papam”. Il fatto è che a Roma il Santo Padre è percepito, anche da chi, come me, si compiace di definirsi “agnostico credente”, come una presenza indispensabile e protettiva, quale che sia la sua provenienza, quale che sia la sua storia personale, quale che sia il suo carattere.
Questo Pontefice poi si è presentato da subito come Vescovo di Roma: mai, nelle sue prime parole dal balcone di S. Pietro, è risuonato il vocabolo “Papa”. Anche in questa deliberata omissione, probabilmente, va ricercato il segno del suo pontificato, così come nella scelta del nome: quel Francesco che rappresenta una delle linee di vetta della bimillenaria storia della Chiesa, e che pure mai nessun Papa aveva deciso di scegliere come riferimento onomastico.
E’ stato detto: questo è il Pontefice di tante “prime volte”: il primo latino-americano, il primo gesuita, il primo, appunto, a chiamarsi Francesco; tutte caratteristiche che lasciano pensare ad una svolta, nel cammino della Istituzione fondata da Cristo, sulla “pietra” di un uomo fragile e imperfetto come Pietro e come tutti noi, ma come pochi capaci di diffondere “la Buona Novella” e per questo di affrontare il sacrificio estremo. E la svolta potrebbe caratterizzarsi proprio nel segno di Francesco, nel solco di una profonda vicinanza ai meno favoriti del pianeta, di un recupero della frugalità di costumi della Chiesa delle origini, di una nuova valorizzazione dello spirito comunitario che, ancora forte e diffuso nelle periferie delle città e del mondo, ha mostrato crepe insidiose, in questi ultimi tempi, proprio nei palazzi vaticani.
Tuttavia, come sempre, le novità, annunciate o intuite, appaiono gravide di incognite. Qui, alla spicciolata, ne elenco alcune che più mi preoccupano, a partire dalla provenienza del nuovo Papa. Quando Benedetto XVI ha stupito il mondo con le sue dimissioni, ho immediatamente percepito un pericolo per la nostra Europa e per il suo futuro. Sono infatti convinto che, a dispetto delle elucubrazioni degli attuali responsabili della Casa Comune europea - per lo più aridi burocrati e politici inetti e vili - la nostra civiltà sia fondata sul lascito greco-romano, ebraico-cristiano e islamico, in una sintesi comunque improntata alla spiritualità.
L’Europa ha bisogno di essere nuovamente evangelizzata: lo hanno riconosciuto i predecessori di papa Francesco. Mi auguro allora che la scelta di un Pontefice d’oltreoceano, non comporti una sia pur non deliberata “delocalizzazione” delle attenzioni pastorali. Oggi più che mai c’è bisogno di ripensare al processo di secolarizzazione ed ai rapporti fra scienza, fede e politica, perfino indipendentemente dalle scelte confessionali; c’è bisogno di recuperare una dimensione pubblica del sacro; c’è bisogno di coraggio – anche e soprattutto in termini “istituzionali” – per garantire il libero esercizio delle scelte religiose di singoli e di gruppi (anche a rischio di mettere a repentaglio la realpolitik).
Questo Papa, d’altra parte, al di là delle congratulazioni ufficiali pervenute un po’ da tutte le Cancellerie, ha già suscitato più o meno larvati commenti negativi, come si evince dal messaggio freddo e formale della sua stessa Presidente Kirchner – di cui è stato fiero oppositore, soprattutto per frenarne un certo laicismo invadente – e dai commenti dei media statunitensi – specie quelli liberal - che, nel bollarlo come conservative, lo hanno già bocciato agli esami di “correttezza politica”.
C’è poi la questione dei rapporti con il Palazzo, inteso innanzitutto come luogo dove si conserva e si esercita il potere, sia in Vaticano, che in Italia. Quanto al nostro paese, vedremo nel seguito quale sarà l’atteggiamento di questo nuovo Vescovo di Roma, a partire dalle nomine del Segretario di Stato e del Presidente della Conferenza Episcopale. Per la Santa Sede, invece, abbiamo notato come fin dalle prime parole, questo Pontefice sembri aver optato per una maggiore collegialità nelle decisioni (la menzione dei “fratelli cardinali” e del suo stesso Segretario); del resto, la sua insistenza nel porsi come Vescovo di Roma appare in linea con questa impostazione.
Qui intravedo altri pericoli, per la Chiesa: nata come investitura divina di una sola persona, è stata in grado di superare le più tempestose tragedie della storia grazie anche al suo assetto teocratico, tale da tenerla spesso al riparo dalle degenerazioni assembleari alle quali non possono e non devono sottrarsi invece le istituzioni laiche. Già a proposito del Conclave, si è parlato – probabilmente esagerando – di correnti, di blocchi di interessi contrapposti, e questo appartiene alla natura umana; laddove però si mettesse in secondo piano la “costituzione divina” della Chiesa, e quest’ultima fosse indotta ad ispirarsi a quelle umane, difficilmente la navicella della Cattolicità riuscirebbe a superare indenne i mari procellosi nei quali oggi è costretta a navigare (dialettica e diavolo hanno la stessa radice…).
Infine, un accenno alla “povertà” da più parti invocata per la Chiesa e che, fin dalla scelta del nome e poi dalla sua biografia, sembra ispirare il nuovo Pontefice. Certo, le vicende della Banca vaticana, e non da oggi, sembrano dipingere lo IOR come sentina di tutti i mali; ma non bisogna dimenticare che la Banca può avere la funzione nobile di raccogliere risparmi e farli circolare per la migliore crescita delle imprese e delle famiglie. La Chiesa non deve temere il denaro come “sterco del diavolo”, come pure hanno insegnato santi della tempra di S. Bernardino da Siena, che fu all’origine, fra l’altro, del Monte dei Paschi (altra istituzione nella bufera!).
La Chiesa non può e non deve ridursi ad Ente caritativo, come tanti altri che operano in terra, ma deve farsi portatrice del verbo divino, nella sua gloria regale e nello spirito di servizio e nel sacrificio degli umili e dei potenti: è proprio questo il principale insegnamento dei Gesuiti in tutti i continenti (i “gesuiti euclidei alla corte degli imperatori della dinastia dei Ming”, nella canzone di Franco Battiato, ma anche – e non solo nel film di Roland Joffé, “Mission” - quelli che si opposero, in difesa degli indios, al braccio armato dei sovrani spagnoli, in Sudamerica). Gerarchia, trascendenza, carità. E saldezza dottrinale, senza indulgere alle chimere – laiche – che imporrebbero dialoghi problematici e inaccettabili adeguamenti di costumi e, dunque, di regole. La Chiesa ha di mira l’Eterno, anche se opera nel contingente.
Inserito da Flâneur il 15/03/2013 01:28:14
Un articolo generoso di spunti molto interessanti. Alla spicciolata mi affiorano due commenti: Roma smarrita e poi Roma gioiosa mi sembra una lettura di lusso, che non ho riscontrato. Più passa il tempo, e più vedo una Roma, anzi un'Italia, callosa, che semmai reagisce a comando, cercando di interpretare il copione abusato da tv e stampa, in un inseguimento circolare in cui il muso dell'una tallona le terga dell'altra. Io invece ho trovato fantastico il protratto silenzio tombale seguito all'annuncio del nome (nè cronisti nè piazza se lo erano preparato), poi sfociato incongruamente - neanche due minuti dopo - nell'ovazione tonante "Be-rgo-glio! Be-rgo-glio!", come se quello fosse il nome trepidamente covato nei loro cuori da tempo. Sottoscrivo l'invocazione "L’Europa ha bisogno di essere nuovamente evangelizzata"; secondo me è questo il punto. Per tutto il papato di Wojtyla si è tamponata la costante emorragia domestica con l'immissione di fedeli freschi dal terzo mondo. Mentre il mondo più avanzato (direi tutto, non solo l'Europa) era consegnato inesorabilmente alla confusione e al materialismo, senza che le si facessero arrivare segnali adeguati e credibili. La breve era Ratzinger non ha invertito la tendenza, secondo me per difetto di comunicativa a prescindere dalla bontà della dottrina. In definitiva proprio noi siamo i più sperduti, e credo che le conseguenze, dopo tanti anni, non si vedano solo sul piano spirituale: la crisi della politica, il dilagare in ogni dove di terminologie e ricette centrate esclusivamente sui soldi, mi sa che ci dicono qualcosa... La conclusione è perfetta.
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