Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
otore, ciak, azioneeee! «Aiutooooo, voglio uscire da qui!!! Un ‘ne posso più!».
Già, lui non ne può più. Lui. E noi? Lui,Vittorio Cecchi Gori, figlio del mai compianto abbastanza Mario, è agli arresti domiciliari da luglio, e dovrà restarci chissà sino a quando, visto che la Cassazione, una decina di giorni fa, peraltro nel disinteresse totale, ha confermato il provvedimento cautelare.
Una volta appresa la notizia “marietto”, così lo chiamava il padre, ha aperto la finestra del suo appartamento e si è messo a gridare al mondo il suo dolore, la sua rabbia, mista ad un evidente senso d’impotenza, senza ottenere alcun effetto. Anzi, uno sì, a dire il vero. Quello di aver realizzato una scena comica involontaria, quanto drammatica. Degna di Mario Monicelli che, forse, da lassù deve aver diretto il cast: “motore, ciak, azione!”. Al cinema, la scena del marietto urlante contro il mondo in una mattinata di un novembre che si crede primavera e non inverno, non la vedremo mai. E nemmeno la leggeremo nelle brevi dei giornali, dai quali, magicamente, è scomparso anche quel “noiosissimo” dibattito sulla giustizia. Come Vittorio non fa più notizia, anzi non è più una notizia perché è come se non esistesse più, anche il legittimo impedimento il processo breve o lungo, l’equilibrio fra accusa e difesa, non sono più attualità, ma rumori di un sottofondo che sembra passato remoto.
Eppure era solo ieri. Eppure la giustizia è rimasta ingiusta, tale e quale a prima. Al punto da essere sempre meno a misura di cittadino modello, e sempre più alla portata dei poteri forti, capaci di plasmarla e modellarla. Il nodo è che ora, con il governo tecnico, altre sono le emergenze, altre sono le necessità. I magistrati, improvvisamente, si sono messi a lavorare. Le udienze vanno avanti secondo il calendario e l’imputato Berlusconi si è messo a fare l’imputato, come uno scolaretto diligente, che ha imparato la lezione dopo esser stato rimandato più volte. Possibile che nel volgere di poche settimane sia potuto accadere tutto ciò? Possibile che le voci di dentro, quelle secondo le quali dietro alle dimissioni del Cavaliere c’è un accordo forte, un patto d’acciaio con le toghe, abbiano ragione? Possibile? O anche questa è una scena girata senza la macchina da presa e non vedremo mai? Possibile, ma non accettabile. Tantomeno condivisibile.
«Aiuto voglio uscireeee!». Quattro mesi quattro, chiuso in casa, sono lunghi da passare. Figuriamoci se ciò arriva dopo un arresto shock.
Scena prima, atto primo. Il sor Vittorio è in vacanza sul suo yacht al largo delle coste laziali. Improvvisamente viene chiamato via radio dalla Capitaneria di porto del Circeo. «Torni indietro, abbiamo un atto urgente da notificarle». Un ordine perentorio, al quale Marietto, in vacanza in barca a Ponza insieme con la compagna, l’ex ballerina «Philly» Azzarito, obbedisce dopo aver cercato di prendere tempo per raggiungere Napoli in aliscafo. E così, poche ore dopo, sul molo del porticciolo turistico, i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria notificano al produttore cinematografico, di 69 anni, un’ordinanza di custodia cautelare per bancarotta fraudolenta. A Cecchi Gori, poi, i giudici della VI sezione penale del tribunale concedono i domiciliari nella sua abitazione in largo di Fontanella Borghese. La stessa casa perquisita nel 2001, durante un’operazione antidroga della squadra mobile romana, mentre nell’appartamento si trovava anche la soubrette Valeria Marini. A mettere nei guai il produttore il fallimento della Fin.Ma.Vi., considerata la «cassaforte» della famiglia. Secondo gli inquirenti Vittorio avrebbe distratto beni della società provocando «un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro» con finanziamenti ad altre società riconducibili all’ imprenditore.
A fine ottobre la Cassazione ha respinto la richiesta di revoca dei domiciliari avanzata dai suoi legali. La sua abitazione continua ad essere la sua cella. Al di là della vicenda giudiziaria, al di là del fatto se Cecchi Gori sia o meno colpevole, al di là di tutto, è giusto che una persona di 70 anni paghi per la sua coglioneria – per quella andrebbe condannato all’ergastolo – mentre altri, che hanno ucciso mentre guidavano l’auto sotto l’effetto di droghe o ubriachi come un’intera comunità di acolisti anonimi sono già liberi? Ricordate l’omicidio, non è stato un incidente, sulla via Nomentana a Roma all’incrocio con viale Regina Margherita? Chi ha ucciso è già libero. No, qualcosa non torna. E non torna perché non lo si vuol far tornare. Cecchi Gori, forse, aveva osato laddove non avrebbe dovuto. L’assassino della Nomentana, invece, ha soltanto ammazzato una coppia che ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma la giustizia ingiusta vede solo ciò che gli fa comodo. Motore, ciak, azione! «Aiuto voglio uscire anch’io da qui!!».
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