Editoriale

La noia dell'adrenalina, perché la cultura di destra ha tanto in odio l'arte?

La destra che dovrebbe proteggere e valorizzare l’Arte del nostro passato, e dunque quella attuale che da esso deriva, da tempo si è piegata al proprio inconfessato complesso di inferiorità, Roma ne è stata l'esempio

Dalmazio Frau

di Dalmazio Frau

rutto. Brutto, brutto ma proprio brutto.

Sì, è decisamente brutto, sia nella forma sia nel contenuto, il nuovo catalogo di “Adrenalina 2012” edito dal Comune di Roma.

Di là, appunto, dall’incubo grafico che vede ogni pagina dispari avere un angolo destro nero, in alto, che ricorda il manto di una mucca svizzera, la scelta dei soggetti artistici resta quantomeno discutibile.

Il Bello è un valore assoluto ed oggettivo, vorremmo ricordarlo anche se l’affermazione suona dolorosamente quanto politicamente scorretta alle orecchie di chi si è infarcito di una certa pseudocultura del “in arte tutto è lecito”.

Il che comporta una domanda che da tempo ormai vortica nell’iperuranio, ma ancora non ha trovato esauriente risposta, ovvero: Perché la “cultura di destra” ha tanto in odio l’Arte? O meglio ancora sarebbe chiedersi se l’attuale destra in Italia ha cognizione di cosa significhi arte e “fare arte”.

A giudicare dalle scelte operate dai vari Curatori e Direttori Artistici di molti “eventi” si potrebbe opinare che esse siano state dettate esclusivamente basandosi su una propria personale e pertanto molto dubbia estetica, in quanto raramente – persino nel vasto mare dei sargassi dell’arte contemporanea – si è visto una simile serie di opere che poco o nulla hanno di artistico, ma appartengono piuttosto alle categorie del banale, scontato, trito e ripetitivo modulo di quella “provocazione” che vorrebbe stupire ma molto più semplicemente annoia.

Inutili installazioni, oggi tanto di moda, che ci fanno ripensare con un sorriso al film di Alberto Sordi, verduraio, in gita culturale con la moglie alla biennale di Venezia  dove la simpatica “buzzicona” viene scambiata per un’opera d’arte moderna – oggi si direbbe “installazione” - proprio dal pubblico della mostra.

Purtroppo in ciò che ci offre il catalogo non troviamo nulla da ridere, ma anzi un senso di stanco déjà vu, di insistita ripetizione di temi, canoni e moduli forse già obsoleti ai tempi della Factory di Andy Warhol.

Quante ne abbiamo viste, riviste o sarebbe meglio dire rivedute - dato che sono a volte vomitevoli - di fotografie di nudi femminili o maschili trattate oggi mediante le tecniche digitali o di creazioni ottenute mediante materiale di recupero? Troppe, troppe tutte uguali.

Morbosamente concettuali, verbose, necessitati di una “descrizione dell’opera” laddove invece un’opera d’arte parla da sé direttamente al cuore di chi la osserva.

Francamente annoiati dalle autoreferenziali biografie degli artisti, spesso al seguito di critici come il nostro Achille Bonito Oliva e delle sue transprepostultrafiancosinistr’avanguardie o di altri suoi epigoni ancor meno riusciti, sfogliamo il volume in cerca di un’originale o quantomeno veramente provocatoria opera d’arte contemporanea.

Eppure in un passato forse oggi troppo lontano, la “destra” italiana è realmente stata innovativa anche in campo artistico, avendo avuto un coraggio e una forza vitale, uno slancio eroico, che la sinistra non possedeva dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre.

E’ dal pensiero rivoluzionario dell’ideologia di destra, dai suoi “intellettuali” che, per esempio, sono nati il Movimento Futurista e quella forma unica al mondo di art déco che è il razionalismo italiano, da cui poi lo Stile Littorio e l’architettura fascista. E’ stata la destra italiana ad aver creato il Realismo Magico degli anni trenta in pittura e la Metafisica fino all’espressione Dada del Barone Evola.

Quelle erano le vere, ardite, innovative e coraggiose avanguarde artistiche. Motivi e canoni che rispecchiavano il Bello e la Bellezza sia nelle forme sia nei contenuti. Il Bello come Armonia, come Ritmo nell’architettura e nella decorazione.

Ma dire questo oggi ci fa rischiare l’apologia del Fascismo e di passare per nostalgici che si sono arenati sulle spiagge di un passato che non è più.

A coloro che pensassero questo vogliamo rispondere dicendo che nessuna forma artistica è tanto vacua e destinata ad una rapida obsolescenza quanto l’arte contemporanea. Noi tutti infatti siamo coevi di Prassitele e del Perugino, per ciò che riguarda l’arte, molto più di quanto lo siamo con Fontana o Pollock.

La destra che dovrebbe invece proteggere e valorizzare l’Arte del nostro passato – e dunque quella attuale che da esso deriva – per ragioni che in questo momento sarebbero troppo lunghe da spiegare – ha da tempo piegato il capo al proprio inconfessato complesso di inferiorità.

Dopo anni di predominio artistico e culturale della sinistra, in Italia, coloro che dall’opposto campo politico si sono ritrovati ad amministrare gli stessi settori hanno avuto paura di sembrare retro, ancien régime, troppo legati alla tradizione e hanno preso, codardamente quanto ignorantemente, a scimmiottare il politically correct della parte avversa fino ad assumerne e valorizzarne gli stessi valori pseudoartistici.

La sinistra ha sommerso il nostro paese con il brutto in ogni campo, negli ultimi sessant’anni, soprattutto nelle arti e nella cultura, ma cos’ha fatto la destra?

C’è da domandarsi se coloro che hanno scelto quegli artisti contemporanei, lodandone quindi l’operato, oserebbero porre nelle loro abitazioni quelle stesse opere. Non lo crediamo.

Dunque se non si vorrebbe per sé una cosa brutta perché darla al popolo?

Nel Medio Evo e nel Rinascimento dei Principi, Papi e mecenati non avveniva questo, anzi il contrario, e l’arte, quella vera e maiuscola, era godibile da chiunque a cominciare dal popolo minuto ed incolto.

La paura, dunque, è il vero problema, e mentre gli uffici degli “addetti ai lavori” presentano alle pareti le illustrazioni degli artisti americani del Signore degli Anelli, dunque riconoscendo l’ormai primato degli Stati uniti nel campo della pittura che si rifà direttamente proprio al nostro Rinascimento, si favoriscono presunte speculazioni culturali come questa e tante altre ad essa simili.

Si ha paura di dire che un manufatto, un’opera d’arte che non è tale, è brutta perché si teme di essere “differenti”, non omologati, controcorrente e avere dunque il coraggio di riconoscere anche i propri personalissimi limiti intellettuali. In altre parole non si è trendy  né cool, non si sarebbe così alla moda, non si sarebbe “moderni”.

A questo spreco e sperpero di tempo, denaro ed intelligenza ci ha dunque condotto l’attuale situazione, ad una fuga continua non soltanto di cervelli, ma soprattutto di mani e di anime che, ricercando la grandezza artistica del nostro paese, oggi devono andare all’estero dove ancora si fa Arte “alla maniera degli Antichi”.

Queste “politiche culturali” dunque, non soltanto sono inefficaci e distruttive del nostro immenso e straordinario patrimonio artistico, ma generano nuovi ammorbanti cerchi di incapacità ed egocentrismo, di autereferente narcisismo ben lungi dal coniugare – come si vorrebbe far credere – “tradizione ed innovazione”.

Con l’enorme e in parte ancora misconosciuta ricchezza artistica che possiede l’Urbe dobbiamo ancora assistere alla sopravvalutazione immotivata di “giovani artisti” invece che recuperare e valorizzare il resto.

Ma la tradizione è una parola che incute timore facendo credere al volgo che essa sia legata al passato e quindi immutabile, peccato per chi lo pensa che non sia così, come dimostra perfettamente la Storia dell’Arte, quella stessa disciplina troppe volte ignorata dagli stessi operatori culturali.

Quella tradizione che in questi stessi giorni è rappresentata dalle tele di Brueghel e quelle del Tiziano in due splendide mostre a Roma, due occasioni di aprire il cuore ed espandere le anime che certamente andranno perdute da coloro che, mancando di coraggio e forse anche di scienza, hanno preferito cercare altrove l’adrenalina.

Peggio per loro.

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