Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Pietro D'Amico
La storia di Pietro D’Amico è finita nel taglio basso delle pagine interne dei giornali.
La nostra rivista è da tanto, invece, che da spazio a vicende ignominiose perpetrate dalla giustizia italiana.
Sicuramente, l’animus forcaiolo proprio di certuni giornalisti ha ben altro che fare ed evidenziare in prima pagina.
Noi, invece, lo facciamo e raccontiamo, di un uomo, ex magistrato di Vibo Valentia, che si è ucciso eroicamente, con la massima discrezione.
E’ partito con la propria auto e si è diretto a Basilea in un viaggio senza ritorno. D’Amico ha scelto il suicidio assistito, la dolce morte per mettere la parola fine a una vita divenuta insopportabile per lui.
L’ex magistrato, tre anni addietro, ha lasciato di proposito il suo lavoro perché, parole sue, “la magistratura non mi merita”.
Il tutto a causa di un’inchiesta dell’allora PM Luigi De Magistris, che lo avrebbe visto coinvolto in un caso di “fuga di notizie”.
Ben presto però arriverà il proscioglimento per “insussistenza della notizia di reato”, e “lacunoso impianto accusatorio”, ma ormai la depressione lo aveva già pesantemente colpito e, questa schifosissima accusa, distrutto del tutto.
Da qui la decisione di andare in Svizzera per uccidersi elegantemente.
A tal proposito riportiamo un pezzo dell’articolo a firma Pierluigi Battista, il quale più sapientemente e dettagliatamente ci spiega il suo punto di vista in merito a tale vicenda:
«Il nome di Pietro D’Amico è il simbolo di tutti i “coinvolti”, di tutti gli innocenti schiacciati da una giustizia malata e ingiusta, dal protagonismo forsennato di magistrati che hanno bisogno dell’esposizione mediatica quanto un tossico è alla disperata ricerca di una dose di veleno. E’ il simbolo di chi, spesso nemmeno indagato, vede esibito il suo nome sul muro della vergogna senza aver mai commesso l’ombra di un reato. E’ il simbolo del credito eccessivo, cieco, fideistico, assoluto che i media regalano all’accusa inquisitrice lasciando il “coinvolto” senza difese, con la reputazione macchiata, travolto dalla macchina del sospetto, coperto dal fango che con mezzi formalmente leciti gli hanno scaraventato addosso.
E’ il simbolo delle vittime del pettegolezzo, del misticismo della “trasparenza” con cui si nega a chiunque ogni tutela della propria vita privata, dell’onnipotenza dell’accusa, delle crudeltà dei meccanismi mediatici che stritolano chi finisce negli ingranaggi di una concezione perversa della giustizia.
E’ il simbolo dei tantissimi che vengono prosciolti nelle maxi-inchieste destinate quasi sempre a finire nel nulla. Di chi patisce, innocente, la vergogna del carcere preventivo. Degli assolti la cui assoluzione finisce in due righe, mentre ai tempi delle indagini l’accusa meritava due pagine.
Di chi non c’entra niente, ma ha perduto tutto. Di un paese feroce e barbarico che inneggia a chi si ammazza per disperazione, come il dirigente del Monte dei Paschi di Siena dileggiato sui social network appena scoperto il cadavere: “la prova che era colpevole, voleva nascondere qualcosa, è morto di vergogna”.
Del paese perennemente attratto dalla tentazione della ghigliottina e che ha demolito la vita di Pietro D’Amico, un lungo viaggio dalla Calabria a Basilea, per raggiungere la clinica in cui l’avrebbe fatta finita, vittima di un sistema iniquo in cui persino il diritto di critica viene equiparato a un sabotaggio della giustizia».
Da Corriere della Sera. Lunedi 15 aprile 2013
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