Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
unque: Fassina lo accusa di delirio di onnipotenza, Bersani gli dà dell’indecente, la Finocchiaro del miserabile. Ad occhio e croce Matteo Renzi ha già vinto.
E chi lo accusa di voler sfasciare il partito dovrebbe riflettere: il Pd è già allo sfascio, irrimediabilmente. Ce l’hanno portato Bersani e il suo gruppo dirigente, senza dubbio, ma anche (viene bene “ma anche”) Veltroni e D’Alema per motivi simili e opposti.
Per quanto riguarda l’ultima strategia elettorale ha ragione Massimo Cacciari: “Il Pd è rimasto a metà tra il voler interpretare le spinte arrivate dalla parte di Grillo e quella di strizzare l’occhio al gruppo di Monti e alla sua visione dello Stato e dell’Europa”, questa strategia ha cause lontane e conseguenze ancora legate tra loro. Il Pd, guidato da decenni da una classe politica presuntuosa e sempre autoreferenziale, aveva già sfasciato tutto pensando di essere omnicomprensiva, inglobando ex-democristiani e radicali, la cosiddetta società civile e le forze sindacali, e, da ultimo, ha tentato di annettersi anche i grillini e i movimenti legati a Vendola. A furia di guardare alla sua destra alla sua sinistra, ha perso identità e non è più credibile: è il risultato di un tatticismo esasperato che ha fatto smarrire la strategia.
Ed ecco che oggi Renzi, affonda la sua lama, tenta il tutto e per tutto, perché sa anche che, al di là, di divisioni interne, il Pd è un monolite (è sempre stato un blocco unico). Il partito ha un carattere tutto ideologico che “annette” appunto, ma non ammette né divisioni, né scalate di potere eterodosse. Già la breve segreteria Franceschini, fu - per certi versi - una stravaganza.
Renzi non diventerà segretario del Pd (l’ho già scritto) se non sulle sue macerie. Non colpisca quindi (commettendo un errore enorme sul piano della coerenza) che Renzi in queste ore stia lanciando la candidatura di Prodi. Non è - come qualcuno può pensare - nostalgia dell’Ulivo, ma un’azione di sabotaggio estremo, di un possibile estremo accordo tra il Pd di Bersani (quel che ne è rimasto, con i lettiani sulla porta e i giovani turchi già pronti a salire sulla scialuppa Barca) e Berlusconi. Se, infatti, per il Quirinale si giungesse ad una figura di compromesso, Renzi nel Pd tornerebbe ad essere una simpatica, seppur insolente, figurina di minoranza. E gli rimarrebbe solo un’improbabile scissione o una stancante attesa con difficile previsione di durata.
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