Editoriale

Rileggendo Papini: gli italiani indisciplinati ma incapaci di rivoluzioni

Ci si chiede perché la crisi, la povertà difusa, i suicidi non facciano scendere in piazza la popolazione, ecco la risposta dal passato attualissimo

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

font face="Calibri" size="3">Far capire, oggi, cosa significhi a un certo punto non poterne più di ipocrisia, conformismo e culto sterile del passato, che è ben diverso dall’ onorare la memoria storica. Non è necessario credere a una concezione lineare del tempo, la trascendenza hegeliana non rientra nelle corde di chi pensa che ci siano valori immortali aldilà della forma contingente che possano assumere.

Oggi, mentre si assiste a una stagnazione quanto mai penosa e maleodorante a qualsiasi livello, politico, civile e culturale. Torna in mente quell’avventura straordinaria che fu lo scontro – incontro tra i  futuristi capitanati dall’effervescente Effeti  (Filippo Tommaso Marinetti) e quel gruppo di guastatori che erano i protagonisti dell’eccezionale stagione delle riviste, soprattutto lo stesso Papini e Ardengo Soffici. Dopo la celebre scazzottata alla Giubbe Rosse del 29 giugno 1911 (con tanti di “coda” alla stazione ferroviaria il giorno dopo)  vi furono la riconciliazione e un anno (dal 1913 al 1914) di collaborazione tra Milano e Firenze all’insegna  di un brulicare di idee che poteva in qualche caso essere istrionico e velleitario, ma che rivelava anche un immenso potenziale di progetti anche geniali,  di sogni per il futuro.  Poi la rottura, il distinguo tra Futurismo e Marinettismo, la ricerca da parte dell’incontentabile gruppo fiorentino di nuove vie e orizzonti nuovi.  In questo contesto, dunque, scrive nell’aprile del 1913:

“ E’ pretta leggenda, perciò, quella del carattere rivoluzionario degli italiani. I nostri improvvisati psicologi hanno confuso la tendenza all’indisciplina con lo spirito di rivolta. L’italiano può essere indisciplinato, individualista, turbolento, ma è raramente, nel fondo dell’anima, rivoluzionario. L’indisciplina proviene dal desiderio di sbirbarsela, di fregarsene, di lavorar poco o lo stretto necessario, facendo un breve sforzo di prepotenza o d’astuzia per conquistarsi un più lungo riposo(…)  l’indisciplina è sintomo di pigrizia mentre la rivoluzione esige uno sforzo di critica e di assalto assai maggiore di tutti gli altri.”

Queste affermazioni non contribuiscono  solo a spiegare le inquietudini di una generazione, che avvertiva le angustie di un modo di pensare rinunciatario, portato più a subire la storia che non a farla: compreso il cosiddetto “risorgimento” voluto in larga parte da una ristretta oligarchia per interessi mascherati da nobili ideali,  sulla testa di centinaia di migliaia di persone quantomeno poco convinte, per non dire niente affatto entusiaste. E chi si provò a non esser d’accordo, sperimentò come la ferocia dei nuovi e “liberali” liberatori fosse assai peggiori della supposta tirannia degli stati preunitari; e per questo non serve giungere a leggersi   il pur assai istruttivo e coraggioso  Carlo Alianello:  è sufficiente prendere l’agghiacciante racconto Libertà  del non certo filo borbonico  (ma galantuomo davvero, oltre che sommo scrittore)  Giovanni Verga.   Ma le parole di Papini bruciano come fuoco a rileggerle oggi, in cui veramente il peggio del carattere italico sta venendo alla luce in questi gironi drammatici, degni davvero delle Malebolge.  L’economia affonda, le energie vitali del paese si spengono, la disperazione persino al suicidio persone di ogni categoria sociale tra l’indifferenza assoluta di una sconcia casta politica che pensa solo a conservare se stessa, compresi i falsi innovatori stellati; e gli italiani ….  Dormono, si arrangiano, vivacchiano, tirano a campare e a imbrogliare,  a cavarsela. Finché il problema è “altrui”, il suicidio si legge solo sui giornali, a fine mese in qualche modo ci si arriva... Saranno le solite esagerazioni.  Le signore bene e gli eunuchi “progressisti” sono del resto troppo impegnati a difendere i diritti “altrui” (e più parassiti sono meglio è) per degnarsi di accorgersi  dei drammi di tanti  loro connazionali, mentre i giovani per l’appunto bivaccano oggi nelle discoteche nell’attesa di finire, nella migliore delle ipotesi,  a qualche bocciofila di provincia una volta passato tempo delle mele, meloni e cocomeri.

Occorre davvero tornare futuristi: che soprattutto i giovani, ma non solo, ritrovino lo spirito di queste avanguardie matte ma geniali, capaci di far tremare vecchi tromboni e potentati muffiti: 

“Occorre trascendere le parole, le formule, le insegne e le bandiere e riferirsi alla realtà vivente e concreta: cioè  AL FATTO che una ventina di giovani di grande ingegno e di grande audacia stanno creando un’arte nuova , un nuovo  pensiero, una nuova intuizione della vita.  Non tutti questi giovani riusciranno ad affermarsi in modo assoluto: alcuni si perderanno per la strada o si lasceranno invilire da più facili o borghesi trionfi (….) Io sto coi pochi, coi giovani, coi diroccatori, coi novatori  - sto coi disperati, combattuti e calunniati futuristi”.  (G. Papini)

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