Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
’ottimo Dalmazio Frau ci ha regalato una serie di interventi condivisibilissimi sul bluff della cultura di destra mediata dai politici.
Ha ragione Frau, la politica dei sedicenti uomini di destra ha bellamente bypassato la cultura, anzi l’ha ignorata completamente.
Fino a quando non c’era potere da gestire e la cultura era l’unico “bene” da utilizzare per dar prova di esistere (ovvero fino alla comparsa all’orizzonte missino di Berlusconi sdoganatore di Fini) anche chi professava un profilo politico professionale o semiprofessionale si riempiva la bocca con la parola cultura.
Poi grazie al Cavaliere la destra è uscita dalle fogne, si è data una pulitina, ha indossato sempre più spesso abiti sartoriali, ha cominciarto ad assaporare il profumo e poi il sapore del potere e con esso ha iniziato a pensare come Goebbels, che aveva voglia di tirar fuori la pistola quando sentiva parlare di intellettuali (e magari non aveva neppure tutti i torti), con la differenza che la destra in questi venti anni ha avuto voglia di ricorrere alla pistola ogni volta che sentiva parlare di …cultura (e questo è ben più grave).
Leggetevi l’articolo di Frau per avere una minima, veramente piccola, appena accennata idea di quanto i nostri politici di destra ignorino della cultura che dovrebbe nutrire il loro fare, il loro pensare, il loro agire.
Per quanto ci riguarda vogliamo dirigerci altrove, ad un mezzo che con la cultura vera e profonda ha poco a che fare, ma ciononostante è definita la maggiore azienda culturale di Stato: la Rai.
Effettivamente la Rai potrebbe essere un medium eccellente per la diffusione di quella cultura che educa il grande pubblico, che lo mette in grado di accedere alla cittadella del sapere offrendogli, se non proprio le chiavi, almeno un grossolano passpartout da utilizzare quando non si volesse essere esclusi completamente dal “senno” antico.
In questo senso la lettura della Divina Commedia potrebbe rappresentare l’operazione culturale per eccellenza, se… se non fosse Benigni, il medium fra il capolavoro della letteratura e il grande pubblico.
Da anni ormai il comico toscano si è fissato sulla Commedia, e sul gran padre Dante. Niente da dire quando recitò una parte di una canto del Paradiso al festival di Sanremo senza svelare di cosa si trattasse e inducendo tutti: giornalisti e pubblico in errore/orrore di egegesi strampalate.
Devo dire che in quel caso Benigni ci piacque: aveva introdotto nella kermesse nazionalpopolare una provocazione culturale altissima, aveva prodotto una specie di shock che avrebbe dovuto dar vita ad una sana reazione di risveglio dal torpore intellettuale provocato dalla televisione a misura di Sanremo, avrebbe dovuto richiamare alla necessità di una televisione veramente di qualità, non necessariamente in sostituzione di quella nazionalpopolare, ma almeno alternativa, diversa.
E invece cosa avvenne? La politica che più o meno direttamente o indirettamente governa la Rai, dette il via libera ad una operazione aberrante: affidare a Benigni la lettura della Commedia , prima qualche canto di prova (con un successo strepitoso per la novità, e soprattutto per le gag che il comico premetteva ispirate alla politica contingente, vera attrazione del pubblico che poi se ne fregava di Dante e della sua opera) poi in prima serata una lettura costante settimana dopo settimana.
Risultato: le tasche del comico e del suo agente si sono riempite di euro e raidue che, ospita il Dante di Benigni, si è svuotata di telespettatori.
E già, era ovvio e prevedibile per chiunque, tranne che per quei geni di destra, di sinistra, di centro che hanno sottoscritto l’operazione .
Era prevedibile perché la lettura di Benigni non è solo brutta, fa pena, offende il comune senso della cultura, invece di avvicinare il popolo a Dante, fa scendere il capolavoro del poeta nella suburra gretta e triviale di un popolino assai inferiore a quello che frequenta la tv.
La potente poesia delle cantiche dantesche si immiserisce in un balbettio irridente, banale, che alterna la battuta facile da bar al complimento inetto e scontato-: Bella bellissima - ripete con aria estasiata Benigni come si si trattasse di un notevole pezzo di ragazza che gli sia passata davanti agli occhi.
Il comico toscano offende settimanalmente il manipolo sempre più ridotto di telespettatori ammannendo una spiegazione che fa del magnifico viaggio nei mondi ultraterreni un tour in pulman con tanto di guida imbecille munita di ombrellino e altoparlante che di fronte alla torre di Pisa racconta al turista inebetito che può stare tranquillo e avvicinarsi, tanto non cade mica perché è da tantissimo tempo che è così!
Di fronte a questo scempio di Stato, perché perpetrato a suon di centinaia di migliaia di euro della comunità, delle nostre tasse, del nostro canone, tutti zitti.
Ci sarremmo aspettati che uno di quei politici che fino a poco tempo fa si riempivano la bocca con la cultura di destra insorgesse, facesse una interrogazione in parlamento, diramasse una protesta alle agenzie… Macché , tutti zitti, anzi zitti, ammirati e increduli e magari disposti a pensare che se i risultati sono disastrosi è perché la cultura in tv non fa audience!
Tutti zitti perché fra i principali sostenitori dell’operazione Benigni –Divina Commedia ci sono proprio loro, i politici di destra felici, nella loro crassa ignoranza, di coniugare il complesso di inferiorità verso la cultura di sinistra con la sottoscrizione orgogliosa di quella che ancora ritengono una grande operazione culturale.
Profondamente ignoranti hanno sempre ritenuto Dante un poeta tendenzialmente reazionario, come tutto ciò che si volge ai valori dello spirito, hanno pensato che Dante fosse cultura di destra, d’altra parte da 70 anni a questa parte non si fa che spartirsi tutto fra fronti opposti . E quindi hanno gongolato pensando che un comico di sinistra si inchinava ai loro valori!
Imbecilli, imbecilli, imbecilli.
Dante la Commedia e tutta la grande letteratura, e arte, e musica e architettura e tutto quanto produce l’intelletto umano illuminato dalla poesia, ieri come oggi, è solo grande arte e grande letteratura, e musica e architettura, e non è né di destra né di sinistra. Appartiene a chi la sa e vuole gustare, a chi ne sa godere, a chi si scalda al suo tepore di grandezza.
In compenso le letture, le interpretazioni, le spiegazioni, le esegesi, le rappresentazioni appartengono alla contingenza, risentono della temperie (bestiale nel nostro caso) dei tempi e possono immiserire, stravolgere, imbarbarire, anche l’opera più bella. Destra, sinistra, centro in questo caso purtoppo hanno una signoria devastante perché permettono, agevolano, sottoscrivono entusiasti la sottomissione, con violenta volgarità e rozzezza, di un capolavoro alla pochezza di uomini e donne di parte, che hanno coltivato la partigianeria anche di fronte all’universale, che hanno preferito cercare di piegare l’infinitamente grande alla loro piccola utilità contingente.
Inserito da Loredana il 16/04/2013 15:42:15
Sorvolo sulle etichette di cultura di destra e di sinistra, perché mi procurano dolorosissime fitte in area cardiaca. Io non ho mai voluto, fin dall'inizio, ascoltare Benigni leggere Dante per istinto d'autodifesa. Ebbi l'occasione di ascoltare Gassman leggere l'Inferno, giorno dopo giorno, e per me quello era lo zenith. Non riuscirei a reggere nessun altro che si accostasse a Dante, tantomeno Benigni. Mi piace la sua vena comica, ma devo prenderla a piccole dosi. Le continue ripetizioni e le risate sguaiate del suo repertorio finirebbero per trasformarsi in insulti alle mie orecchie, se accostate alle terzine dantesche. Tanto vale metterle in musica sulle note del Pulcino Pio.
Non possiamo nn dirci conservatori, e allora attenti con la santificazione della tecnologia
Quel che la Corte Suprema non ha considerando riguardo al divorzio
Perché la destra sta sparendo dall'agone politico
Mettete la museruola ai genitori incoscienti
Se le donne vincono quando in politica i migliori rinunciano