Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
er le modalità che hanno condotto alla sua nascita, il governo Letta sembra inaugurare una fase nuova della politica e della stessa democrazia in Italia. Ricordiamo il ruolo – riconosciuto, sia pure con giudizi di segno diverso, da tutti i soggetti in campo – del Presidente della Repubblica; ma non dimentichiamo neppure l’inusuale conciliazione – o armistizio? – tra i due principali attori politici contrapposti, e ancora, il contraddittorio atteggiamento del “corpo elettorale”, ondeggiante tra il sollievo per la formazione di un governo, dopo due mesi di “vacanza”, e la stizza per l’accordo stipulato, sia pure sotto la pressione degli eventi, con la parte avversa.
Allo scenario, aggiungerei il frutto della contestazione “grillina”, evidente in quella parte del programma governativo che colpisce alcuni dei costi odiosi della politica, ma non trascurabile anche nella crescente esigenza di trasparenza, pure tra i cavalli di battaglia del Movimento Cinque Stelle. Sta di fatto che questo governo aveva come unica alternativa nuove elezioni, dal probabile esito incerto: non sarebbe bastato, infatti, trasferire dal PD al PDL qualche decimale in più di consensi, per garantire la necessaria governabilità al Paese, oltretutto con la zavorra – che già esiste nell’attuale Parlamento – di un consistente pacchetto di deputati e senatori che dal Movimento di provenienza sembrano essere passati ad un immobilismo minaccioso nelle sedi istituzionali.
A questo proposito, vale la pena di spendere qualche parola sulla sedicente “democrazia del web”, idolatrata dai seguaci di Grillo e spacciata per avatara di quella diretta, cara agli Antichi.
Che si tratti di una mistificazione, appare evidente da una veloce disamina dei numeri, da quello degli italiani muniti della capacità e della voglia di adoperare un computer, a quello dei simpatizzanti del blog di Grillo: numeri “minimi”, non solo rispetto al corpo elettorale, ma perfino rispetto alla massa dei partecipanti alle primarie PD.
Del resto, proprio dal raffronto fra queste ultime e quelle in base alle quali sono poi stati eletti in Parlamento individui gratificati da poche decine di voti, ogni discussione al riguardo diventa superflua. Insomma, questa democrazia virtuale, assomiglia troppo ad un marchingegno per legittimare un’oligarchia irresponsabile e troppo poco alla nobile forma di governo illustrata e applicata a partire da Aristotele; e lasciamo stare l’argomento della trasparenza, invocata per gli altri, ma bandita per sé.
Quanto al famigerato streaming, che della trasparenza rappresenta lo strumento principe, vengono i brividi al pensiero che questa forza di minoranza, portatrice di una carica antisistema, potrebbe essere accontentata, nella sua richiesta di ottenere la presidenza del COPASIR, l’Organo di controllo dei Servizi Segreti della Repubblica: anche in questo caso, si passerebbe dalla giusta applicazione di un principio sacrosanto della democrazia – quello, appunto, della trasparenza dei processi decisionali – alla aberrante abolizione degli arcana Imperii, pietra angolare sulla quale poggia ogni costruzione statuale.
Non dovrebbe esserci bisogno di spiegare come alcuni colloqui fra Capi di Stato – ma anche fra leader politici – non possano non svolgersi al riparo di orecchie indiscrete e inesperte (quando non malevole): sarebbe sufficiente rivedere il desolante colloquio fra il Presidente incaricato Bersani e la delegazione dei “Cinque Stelle”, sotto l’occhio della web camera…
Ma torniamo al governo appena nato, e già insidiato, sul fronte interno, dalla fronda della base PD e dalle pretese programmatiche dell’Alleato/avversario PDL, e sul fronte esterno dall’irrigidimento della Cancelliera Merkel.
Ecco, dicevamo della “novità” di questa Grosse Koalition in versione nostrana: il suo punto debole consiste proprio nella peculiarità del bipolarismo italiano, troppo spesso incentrato sugli interessi di parte e viziato dalla incapacità di riconoscere pari dignità alle idee – se non alle persone… - dell’Avversario.
Questa “grande” intesa nasce allora dalla necessità, dall’emergenza, dal fallimento della politica, che ora tenta di riprendere il cammino, sorretta dai “Poteri forti” residuali, in primis dal Capo dello Stato e subito dopo la Banca d’Italia, nella persona del ministro Saccomanni.
Per il resto, la “squadra” annovera altri “tecnici” – il ministro dell’Istruzione, il ministro della Giustizia, che per la verità le sue competenze le aveva esercitate nel dicastero di provenienza – e personalità di basso profilo (fa eccezione Emma Bonino, che del resto da sempre si trova a presidio di quella aristocratica “terra di nessuno” dai quali i Radicali hanno lanciato le loro battaglie).
Tanto per limitarci ad un solo esempio: il Ministero dei Beni Culturali la fa da Cenerentola, a riprova che non soltanto a destra – come sempre – ma anche a sinistra (e questa è un’altra “novità”) la cultura sembra essere l’ultima delle preoccupazioni.
E la destra? L’unica dotata di rappresentanza parlamentare – sia pure esigua – vale a dire la neonata formazione di “Fratelli d’Italia”, starà a guardare, in attesa di votare a favore di qualche provvedimento gradito o contro quelli sgraditi. Di più, nelle sedi istituzionali, non si potrà fare. Di più, invece, si dovrà fare in seno alla fin troppo menzionata “società civile”, dove, specialmente in questi ultimi tempi, sono stati mortificati valori, identità, e perfino utopie.
L’auspicio è che finalmente qualcuno riesca a rimescolare per bene le carte della “vecchia” politica, subordinando gli interessi di parte a quelli generali, e forgiando sintesi il più possibile condivise, a partire dalle tesi contrapposte e in larga misura superate. Costanti ed evoluzioni, si diceva in tempo (per non ripetere il saggio detto ”non rinnegare, non restaurare”): è quello che richiede la nostra epoca, una volta superate le strettoie dell’emergenza.
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