Editoriale

Non possiamo morire nuovamente da demosristiani

La politica della mediazione (Dc) senza vera decisione argina momentaneamente il disastro ma non può durare e soprattutto non risolve come sarebbe necessario i problemi

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

iamo un Paese di inguaribili  “nostalgici”. Un tempo per praticare la nostalgia si indossava il fez e si rievocavano i fasti di un’Italia imperiale, oggi – per ritrovare  il tempo-che-fu – basta scorrere i nomi e le biografie del premier Letta e di molti dei suoi ministri, novelli Giona  espulsi dalla “Balena Bianca”, vecchia immagine- simbolo della Democrazia Cristiana,  sulle spiagge della governabilità.

Torna perciò la Dc, tra la “nostalgia”, più o meno consapevole, dei molti, che l’avevano frequentata, votata, eletta a modello politico. Di origini democristiane è lo stesso Enrico Letta (segretario dei Giovani democristiani europei fino  al 1995, vicesegretario del Partito Popolare fino al 1998, pupillo di un Dc d’annata, Nino Andreatta), ma Dc sono  anche Angelino Alfano (già segretario provinciale del Movimento giovanile Dc ad Agrigento e figlio del vice-sindaco Dc della stessa città), Dario Franceschini (membro della direzione nazionale del movimento giovanile Dc, poi consigliere comunale e tra gli animatori della sinistra democristiana), Graziano Delrio (consigliere comunale del Partito Popolare a Reggio Emilia e fondatore dell’Associazione Giorgio La Pira).

E poi,ancora, giovani-vecchi Dc sono stati Mario Mauro, Maurizio Lupi, Gianpiero D’Alia. Nomi e numeri che la dicono lunga sulla voglia di restaurazione che sembra attraversare centrodestra e centrosinistra, uniti, proprio come faceva la vecchia Dc, da un’insaziabile voglia di…governabilità.

Del resto – si sa – siamo un popolo dalla memoria corta, mentre il tempo, trascorso dalla fine della Dc “storica”,  ha inevitabilmente scolorito responsabilità, fallimenti ed esperienze. Non sappiamo se  l’abbraccio tra ex sia il preludio di più ampie ed organiche strategie politiche, in grado di portare, dopo la  “Grande Coalizione”,  alla nascita di un  nuovo “Grande Centro”. Certamente il rischio c’è ed allora non è superfluo, giusto per rinfrescare la memoria, ripartire dalla Storia, che non sarà proprio “magistra vitae”, ma che almeno offre qualche elemento di valutazione, articolato e complesso, necessario per non cadere nelle facili esaltazioni o nelle demonizzazioni acritiche che l’idea di restaurazione democratico-cristiana fa emergere.

Per trovarvi che cosa ? Sostanzialmente tre elementi: il ruolo di diga anticomunista svolto dalla Dc nel nostro Paese (sotto l’occhio attento ed interessato degli Stati Uniti); l’influenza spirituale e politica della Chiesa Cattolica; una base sociale contadina e piccolo borghese. Il mix di questi tre elementi ha rappresentato il terreno di coltura su cui si è radicato ed è cresciuto il consenso e si è costruito il sistema di potere democratico-cristiano.

Un sistema di potere che si è retto – come spiegava Gianni Baget-Bozzo – non in forza di un aumento dello spirito religioso e della pratica cristiana, ma per il crollo delle forze laiche tradizionali e per una combinazione dei vari interessi del corpo sociale, fino al punto da arrivare ad assecondare “lo sviluppo della dinamica e il prodursi dei rapporti di forza nella società civile”, subendo perfino “i moduli di potenziamento di interessi tutelati da altri partiti (dai liberali ai comunisti) piuttosto che cercare si imporre una propria visione d’insieme”.

Questa era la Dc storicamente determinata: espressione di una idea della mediazione, che nasceva dalla crisi bellica e postbellica dell’Italia, poi dalla ricostruzione e dal “boom economico”, assecondato più che veramente costruito (come conferma l’instabilità politica dei cinquanta governi succedutisi dal 1946 al 1994)  la quale ha dato luogo – parole di Baget-Bozzo – “a una società in cui la politica è demitizzata quasi senza limiti, i valori statuali, esaltati dal Risorgimento e dal fascismo, privati di ogni significato, ma dove le forze politiche e sociali possono dispiegarsi compiutamente”.

A questo punto, il nocciolo della questione, esperienze alla mano, è dunque non tanto prendere atto che “il contesto”, oggi, è oggettivamente cambiato rispetto a quello di sessant’anni fa (nelle alleanze internazionali, nel rapporto con la Chiesa, nella composizione sociale) quanto soprattutto che sono mutate le domande politiche del Paese e i più ampi scenari entro cui l’Italia è collocata.

Sono già dentro le case degli italiani, oltre che sugli schermi televisivi, problemi enormi determinati dall’espansione dei mercati e delle produzioni, dal potere della tecnica e della finanza, dal cosmopolitismo e dalla domanda di identità dell’uomo contemporaneo, dal controllo delle fonti energetiche ed idriche, dall’integralismo religioso e culturale.

Ora, di fronte a questi scenari, di fronte all’eccezionalità delle sfide in atto ed in fieri, che fanno emergere una grande domanda di politica, cioè della  capacità di prefigurare, di decidere, di amministrare il cambiamento, c’è veramente qualcuno che crede possibile riprodurre i vecchi meccanismi della mediazione centrista, capace solo di assecondare e di temporeggiare ? L’elenco delle “buone intenzioni”,  fatto da Enrico Letta,  può bastare a rassicurare gli italiani sul loro destino ? E qualche (apparente) intervento sul  sistema fiscale  può essere “la riposta” alla crisi socio-economica in atto ?

Evidentemente ci vuole ben altro. Alle domande di modernizzazione sociale, ai rapporti con l’Unione Europea, all’avanzare della povertà e della disoccupazione,  alle attualissime tematiche della vita e dell’etica, della famiglia e dell’invecchiamento demografico, occorre dare risposte chiare e conseguenti.

Della “nostalgia centrista” , presente sia nel Pdl che nel Pd , l’Italia non ha francamente bisogno. Lo dice la Storia, con il drammatico tramonto della Dc e dei partiti “satellite” (la cui classe dirigente ha saputo, alla lunga, “riciclarsi”),   lo conferma la cronaca di questi giorni, con un’opinione pubblica che chiede chiarezza nelle scelte piuttosto che deboli compromessi e che di fronte ad  una governabilità  “artificiale e strumentale” preferisce opzioni politiche chiare, concrete e conseguenti.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Cosma Ferrarese il 07/05/2013 10:27:43

    Siamo proprio sicuri di avere "un’opinione pubblica che chiede chiarezza ... preferisce opzioni politiche chiare, concrete e conseguenti"? Al referemdun del 2006 gli italiani hanno bocciato la riforma costituzionale che voleva arginare la partitocrazia. Alle ultime elezioni hanno dato fiducia all'ultimo arrivato, illudendosi che fosse - chissà per quale arcano mistero - migliore degli altri ed hanno infarcito il parlamento di dilettanti allo sbaraglio. A me pare, piuttosto, che gli italiani vogliano assecondare l'andazzo sperando che, prima o poi, salti fuori il "deus ex machina" e ripristini il paese delle meraviglie. Da almeno settant'anni abbiamo chiuso gli occhi sul mondo e viviamo di illusioni.

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