Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Karachi, aprile 2013 "...questa potrebbe essere l'ultima volta che vedo il Pakistan", lo sguardo fissa le onde di quel Mare Arabico che bagna la riva pakistana. A parlare è Hussein, ad ascoltare è un inviato del New York Times.
E s'è fatta luogo di addio quella riva per la gente hazara, la gente di Hussein. E il giorno seguente lui, come altri, attraverserà quelle colonne d'Ercole oltre cui l'inferno e oltre ancora forse la libertà. Una nuova vita. Inch'Allah!
"...si può vivere senza le prime necessità, non si può vivere con la paura...preferirei morire in barca che sotto una bomba. Almeno avrei scelto." Ha venticinque anni Hussein e tutta la fierezza del suo popolo, fatto di silenzi e coraggio.
Da tempo l'urlo hazara, lo stesso che abbiamo denunciato segnalato evidenziato in molte nostre pagine, l'urlo che mai smetteremo d'accogliere, che mai smetteremo d'urlare, s'è fatto esodo. Esodo verso l'Australia. S'è fatto esodo ancor più per chi, del popolo hazara, risiede o risiedeva a Quetta, Pakistan. S'è fatto esodo per non farsi morte. " ...i terroristi prendono il loro tempo. Selezionano. Poi sparano.", ancora parole di Hussein. E lui era lì. E lui ha visto. E porta i segni su di sé. "...non ricordo l'esplosione solo una sorta d'impulso sonico. Poi nulla.", ancora sue parole. E noi sappiamo chi sono i terroristi, tutti lo sanno. Sappiamo chi sono anche oltre l'apparenza del nome Lashkar-e-Jangvi, per quanto esso sia assoluta realtà. E noi sappiamo che il mondo continua a non vedere, a non voler vedere, a voltare lo sguardo il più possibile lontano dal genocidio degli Hazara. E noi sappiamo quanto sia doloroso assistere al loro sterminio, alla sistematicità. Quella sistematicità che rende tutto prevedibile, identificabile. Se lo si volesse. "Noi non temiamo nè le leggi del Governo né l'esercito pakistanio. Continueremo ad ucciderli nelle loro case". Così Abu Bakar Siddiq portavoce di Lashkar-e-Jangvi. Organizzazione con sede in Punjab dichiarata terroristica da Usa, Gran Bretagna, Pakistan, Australia. Eppure Lashkar-e-Jangvi decide, si muove, agisce, sparisce, come fosse inattaccabile. E lo è. E pubblica minacce sui giornali, stampa, distribuisce volantini, ha un numero di telefono libero a cui chiunque può segnalare la presenza di un hazara, uno qualunque, ovunque, fosse anche un bambino... e vanno ad ucciderlo. Sì, Lashkar-e.Jangvi o chi per o chi con, agisce indisturbata esattamente secondo le parole di Hussein: prendono il loro tempo, selezionano, sparano. E noi sappiamo perchè tutto questo sia possibile. E noi sappiamo che il settarismo religioso non c'entra, che questa pulizia etnica ha un solo scopo; alta finanza, lobby minerarie. Ma anche questo abbiamo più e più volte trattato in questo nostro emisfero occidentale della civiltà, mentre altri fingono di sfiorare temi sui diritti umani e dei popoli senza che nulla avvenga nella realtà dei fatti. Non ci sono diritti umani che si vogliano osservare in alcun luogo che sia scomodo ai profitti internazionali. Solo subumane finzioni di diritti. E non sono diritti.
Sì, s'è fatto esodo l'urlo hazara. S'è fatto il loro Trail of Tears. Parte da Karachi, approda in Malesia poi Indonesia o Thailandia tutto a bordo di barche treni auto qualunque mezzo di trasporto o senza alcun mezzo, fra trafficanti di qualunque cosa, di esseri umani innanzi tutto. Lì dove la fine può affacciarsi ad ogni passo, attendere dietro ogni angolo, presentarsi sotto ogni aspetto, giovani hazara sono costretti a passare. E, sì, sono giovani e giovanissimi quasi tutti e tutti è questo che devono attraversare. Poi, dopo, quando, se: l'oceano. Aspetto acqueo di quell'inferno prima solido. E miglia e miglia e miglia verso l'Australia. E non c'è alcun ordine di partenza, e non si rispetta alcun turno e il motivo è uno: il turno non esiste, nessuno sa quando partirà, se, come, si può attendere anni. Neppure gli uffici dell'UNHCR presenti, quando, se, rispettano l'ordine. UNHCR uguale "angeli per i rifugiati". Così ci dicono e vogliamo credere.
E può accadere, prima di quella terra che s'è fatta promessa per costrizione non per iniziale desiderio, può accadere d'essere trattenuti sulla Christmas Island, l'isola australiana in cui gli hazara dovrebbero chiedere asilo politico. E può accadere d'essere trattenuti agli arresti, galera o campi simili, per il solo fatto d'essere clandestini o simili. e la galera o simile, alle indagini da noi svolte, risulta avere il disumano sapore di Guantanamo. Sì, è a questo che noi dell'emisfero occidentale, come spesso ci accade da tempo, stiamo collaborando voltando altrove lo sguardo oltre il genocidio di questo popolo come se non fosse.
Ma c'è qualcosa che può anche accadere, qualcosa d'imponderabile, qualcosa che può collegarsi alla loro storia, alla storia del popolo hazara, la stessa dei grandi conquistatori mongoli, la stessa di imperi, quella del Gran Moghul. E questo Hussein lo sa, lo porta con sé, era presente nel suo sguardo alle onde come nell'ostinato: "non vedo l'ora" malgrado tutto, nel suo andare avanti. Può accadere qualcosa come lo scorso anno, quando sei giovani hazara hanno acquisito un ruolo ufficiale al Victoria Youth Parliament della città di Victoria, appunto, in Australia, appunto, malgrado tutti i trails of tears. Appunto.
E questa si chiama speranza.
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