Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Marcello Staglieno
Ho perso un amico. La cultura ed il giornalismo italiano sono stati privati di un esempio raro di intellettuale “disorganico” fedele esclusivamente ai propri ideali ed ad una idea di verità purtroppo fuori dal tempo, che ha lasciato nel nostro quotidiano un’impronta indelebile.
Con la scomparsa di Marcello Staglieno, avvenuta giovedí, all'etá di settantacinque anni e dopo una lunga malattia, in tanti ci sentiamo più poveri, quelli che l’hanno conosciuto da vicino e coloro che hanno imparato a stimarlo e ad apprezzarlo leggendo i suoi articoli ed i suoi libri. Personalmente lo piango come una parte di me che se n’è andata senza neppure avvertire, forse, com’era nel suo stile, per non fare rumore, non dare fastidio.
Fu così, che discretamente bussò alla porta del mio ufficio di via della Scrofa in un giorno di primavera del 1998 offrendosi di collaborare con il “Secolo d'Italia" che dirigevo, dopo la fine della sua esperienza parlamentare che lo aveva portato alla vice-presidenza del Senato della Repubblica.
Aveva voglia di ricominciare, di tornare a respirare l’aria della redazione, il profumo della carta stampa, di immergersi nell’adrenalina della notizia che sconvolgeva il menabò. Voleva, insomma, tornare ad essere ciò che era, mi disse parafrasando Nietzsche. E che cosa potevo fargli fare se non associarlo, d’accordo con l’editore Gianfranco Fini, alla mia direzione come condirettore? Non sperava tanto, per me era davvero il minimo.
Avevo imparato a conoscerlo attraverso la sua attività di giornalista culturale al “Giornale” di Montanelli alla cui fondazione aveva partecipato nel 1974; leggendone i saggi su Bixio e su Longanesi, su Prezzolini e su Junger (del quale era buon amico), su Spengler, Mann e Schmitt (un’altra delle stelle polari che ci legava). Soprattutto su Giovanni Ansaldo, il principe dei giornalisti italiani, dal cui conservatorismo fece derivare il suo.
E Marcello conservatore, nel senso più autentico e pregnante del termine, lo è stato fino alla fine, inerpicandosi sulle ardite pareti della modernità e scalandole con l’agilità di un pensiero coerente e coriaceo, formatosi alla scuola di maestri come Montanelli cui volle dedicare qualche anno fa una straordinaria biografia.
Mi passa adesso davanti, con la sua sigaretta pendente dalle labbra. Poi si siede davanti a me e mi riempie di idee e proposte. E ancora con la redazione riunita, umilmente chiede a tutti pareri ed opinioni, senza mai affermare il suo punto di vista sovrapponendolo a quello degli altri, ma sempre con eleganza affiancandosi a ciò che perfino il più giovane ed inesperto dei praticanti aveva da dire. Come se la sua esperienza non contasse, come se il suo nome non significasse nulla.
Marcello rimaneva con me ben dopo la riunione di redazione e tiravamo tardi, fino a pomeriggio inoltrato, diffondendoci nelle nostre discussioni sulla Rivoluzione conservatrice (passione avvolgente di entrambi) o sulle sue tentazioni di romanziere (ne aveva scritti due con l’amico Renato Besana: Lilì Marleen e Il Crociato) molto belli e suggestivi. Tuttavia la politica covava sotto la cenere. E dopo la sua esperienza parlamentare, ne era rimasto quasi contagiato, ma il tempo per ripeterla non si sarebbe più ripresentato, anche per l’indisponibilità di un partito, Alleanza nazionale, nelle cui liste raramente trovavano accoglienza uomini di cultura. Un’altra occasione perduta non avergli dato l’opportunità di riprovarci.
Nel 2000 si ritirò a vita privata. Riprese a scrivere libri (una storia dei presidenti della Repubblica, un saggio biografico su Arnaldo e Benito Mussolini, un ritratto di Pannunzio in rapporto con Longanesi, l’intervista con Montanelli “anarco-conservatore”, le considerazioni sulla parabola ideologica e politica di Gianfranco Miglio).
Le nostre telefonate si diradarono. Ma le rare volte che ci si incontrava era sempre una festa. Poi, un po’ di mesi fa, lo seppi malato. Provai a cercarlo, ma senza esito. Non insistei. Speravo, attraverso comuni amici, di riprendere i contatti. La morte è arrivata troppo presto.
Con Staglieno il giornalismo colto perde una delle poche figure rimaste in campo. Una volta mi disse di sentirsi un sopravvissuto. Forse lo era, come qualcuno di noi. Resteranno i suoi libri, i saggi sparsi un po’ ovunque, gli articoli disseminati in giornali e riviste. Rimarrà soprattutto la sua umanità; il suo candore ce lo porteremo nel cuore noi che lo abbiamo avuto compagno di lavoro e maestro nella professione.
Inserito da Piero Sampiero il 15/06/2013 11:52:29
Ho sentito l'ultima volta Marcello ai primi di gennaio di quest'anno ed era felice per averla scampata bella dal male tremendo. Mi illustrò le terapie seguite e i suoi prossimi appuntamenti importanti: il matrimonio del figlio (di cui era orgogliosissimo), al quale mi invitò per il prossimo luglio, orgoglioso del fatto che la futura nuora fosse una nobile e cattolicissima giovane di antico casato tedesco, la stesura di un libro sull'amatissimo Ernst Junger, gli ultimi ritocchi all'arredamento del nuovo centralissimo appartamento di Milano da parte dell'attenta e perfettissima moglie Monica per aprirla alla frequentazione degli amici in un clima di rinnovata serenità e fiducia nella vita. Per un invito a cena riservata a due ospiti molto cari, mi ringraziò poi per il Cannonau che gli avevo inviato, annunciandomi che avrebbe festeggiato l'evento, tirando il collo ad alcune delle bottiglie appena arrivate. Inutile dire che fu, more solito, premuroso e gentile, profondamente vicino, sollecito e pronto ad ascoltarmi come solo un vero amico è in grado di fare. La notizia della sua scomparsa mi attanaglia l'animo e mi rende orfano: Marcello era un personaggio antico e moderno al tempo stesso, generoso, esuberante, coltissimo, ricco di esperienze intellettuali e di vita pratica, anche avventurosa, assai preziose; fu spesso, per scelta di Indro, un alter ego di Montanelli, il prediletto fra i suo illustri collaboratori, un principe del giornalismo culturale, un anarco-conservatore dalle sensibilità finissime, un galantuomo ed un vero signore come ormai si è persa la traccia. Una volta mi disse, nel suo buen retiro di Carro, che avrebbe voluto morire in battaglia... E così è stato, al di là delle apparenze. Una fine esemplare da uomo virile, dalle qualità aristocratiche e dalle rare virtù civili. Indimenticabile e insostituibile.
Inserito da Piero Sampiero il 15/06/2013 11:49:00
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Inserito da ghorio il 21/05/2013 13:10:54
Ho atteso qualche giorno per commentare la scomparsa di Marcello Staglieno sperando di leggere sui cosiddetti giornaloni qualche rigo, cosa che non è avvenuta. Strana sorte quella dei giornalisti che muoiono: o li ricordano i giornali per i quali scrivono o scrivevano, oppure cala il silenzio, nemmeno un rigo, spesso. Naturalmente c'è l'eccezione: se il giornalista famoso che muore è dell'area di centrosinistra o sinistra, grandi spazi, soprattutto sui giornaloni. Tra l'altro i giornali di centrodestra ne riferiscono, in modo corretto: l'ho constatato più volte. Se militava a destra o nel centrodestra, silenzio o quasi. Una disparità che non ho mai condiviso. Di Marcello Staglieno magari non ho condiviso qualche sua scelta politica, tanto che c'era stata una rottura con Montanelli, poi , mi pare , ricomposta. Dal punto di vista culturale, però, e sul modo di scrivere , tanto di cappello. Nella mia libreria trovano spazio il saggio dedicato a Longanesi assieme a Montanelli, il libro, edito da Mondadori, dedicato allo stesso Montanelli. Un libro quest'ultimo che non dovrebbe mancare a chi si interessa di giornalismo: Lo stesso dicasi degli scritti di Staglieno dedicati a Prezzolini e Ansaldo. Onore quindi a Staglieno perché p stato un giornalisra e un saggista di razza. Giovanni Attinà
Inserito da dall'infanzia per settant'anni un caro amico di vita il 18/05/2013 08:23:49
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