Editoriale

Don Gallo o dell'inconciliabilità degli opposti

Se il funerale di un prete diventa un pretesto per manifestazioni politiche e contestazioni

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

bbiamo francamente qualche difficoltà a considerare – come ha fatto  più di un  commentatore –  “una bella lezione”,   il funerale del sacerdote genovese Don Andrea Gallo. Le cronache televisive ed i servizi degli inviati dei vari quotidiani hanno offerto un’immagine a dir poco “inusuale” per una cerimonia funebre più simile alla kermesse politica che al rito sacro, con un Arcivescovo costretto a sospendere la propria omelia, tra fischi e canti partigiani.

Niente di nuovo per chi conosceva Don Gallo, il suo bizzarro entourage, la sua confusa visione della vita e del mondo, che faceva trasognare conduttori politicamente corretti ed attricette, militanti no global e funzionari di partito, ma che, visto l’epilogo, rappresenta la sua sconfitta come sacerdote e come “pastore di anime”.

Scomparso Don Gallo, in grado di tenere insieme il sacro ed il profano, con la sua capacità affabulatoria e carismatica, il campo è infatti  rimasto in mano alla retorica istituzionale, targata Pd, e all’estremismo più becero. Con il risultato che, alla fine, venuto meno  il Don, la conciliabilità degli opposti è stata soffocata  dal sovrapporsi di fischi ed applausi, canti partigiani e liturgia, pugni chiusi e segni della croce, slogan e preghiere, bandiere rosse e paramenti liturgici, bandiere no-tav ed incenso.

Insomma un melting pot   in cui si è perduto  il senso sacro della morte, nel nome dell’ happening e della ragion politica (di parte). Ed allora altro che tolleranza, accoglienza, condivisione, parole ripetute all’infinito, in questi giorni,  per santificare l’opera e la figura di Don Gallo. Gesù Cristo, il  cattolicesimo, la Dottrina si sono trasformati piuttosto in semplici paraventi, dietro cui nascondere contraddizioni palesi ed oggettive manipolazioni. Con buona pace per lo stesso Don Gallo che con il suo disorganico e confuso apostolato era convinto di avere portato tante “pecorelle smarrite” alla Casa del Signore.

I risultati, registrati durante il funerale, non sembrano, alla prova dei fatti, avere dato ragione al “sacerdote da marciapiede” e a quanti sono convinti di potere mischiare il diavolo (dell’ideologia) e l’Acqua Santa (della Religione).

Il rispetto delle differenze è evidentemente altro. Così come l’abbraccio amorevole della Fede o il senso di un apostolato sociale che nella Chiesa Cattolica ha radici profonde e storiche figure di riferimento (da Don Orione a Cottolengo, da Francesco Maria da Camporosso a Don Giovanni Bosco). Esempi che incarnavano  il messaggio evangelico e davano concretezza alla dottrina sociale della Chiesa, piuttosto che spettacolarizzare fantasiosi e soffocanti abbracci con chi ideologicamente quel messaggio e quella dottrina ha sempre osteggiato e combattuto.

Anche qui bisogna essere chiari. Mettere insieme partigianesimo, comunismo e messaggio evangelico vuole dire dimenticarsi dei numerosi sacerdoti uccisi dagli allegri cantori di “bella ciao”, dell’ideologico rifiuto verso tutto ciò che sa di Sacro (esempio – a leggere Marx -  di alienazione spirituale), dell’odio sociale (di classe) confuso per solidarietà verso gli ultimi.

Sottile è la linea di demarcazione tra malafede e incoscienza.  Lo si è visto, sabato scorso, al funerale di un sacerdote che non vogliamo pensare fosse in malafede,  ma che certamente è stato   vittima della incoscienza ideologica, mascherata da tolleranza.

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