Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
’è qualcosa di decisamente antico, anzi un po’ stantio, nell’approssimarsi di quell’ennesima farsa di rito democratico che sono i ballottaggi di metà giugno. Un appello “ai valori”, perché gli elettori di una certa area (diciamo pure “di destra”) adottino il famoso adagio montanelliano del voto “tappandosi il naso”. A parte il fatto che ormai per votare certa gente, oltre e più che il naso bisognerebbe tapparsi gli occhi e le orecchie, non sarebbe male su questo punto un minimo di chiarezza.
Premesso che non si intende qui riferirsi a un ballottaggio specifico, che può al massimo servire di pretesto e di esempio, né tantomeno polemizzare con l’ottimo Giuseppe del Ninno, sarebbe però anche ipocrita negare che proprio nel caso di un personaggio come Alemanno una riflessione è quantomeno d’obbligo.
Non essendo romani, non si può sapere quante buche stradali l’amministrazione Alemanno abbia colmato; di buche ci bastano quelle fiorentine, di cui il sor Matteo si preoccupa ben poco; come del resto ha dimostrato di preoccuparsi ancor meno di “buchi” di bilancio, come quello che rischia di inghiottire il Maggio Musicale Fiorentino. Eppure, proprio la figura del giovanotto di Rignano prestato (ahinoi) a Firenze suggerisce qualche considerazione in merito. Sicuramente Renzi usa Firenze come sgabello per le proprie ambizioni nazionali; proprio recentemente in una intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato con molta disinvoltura la sua disponibilità a fare il sindaco e il leader del PD, visto che “non c’è incompatibilità”; come se fare il sindaco e di una città unica al mondo (non se la prendano gli altri, tantomeno i Quiriti, ma se Roma è caput Mundi Firenze è la fucina della civiltà del suddetto mondo) e il capo di quello che in teoria dovrebbe essere uno dei primi partiti italiani fosse una cosa da nulla. E non aveva poi assicurato il sor Matteo che una volta sceso dal camper dopo la trombatura a premier se ne sarebbe rimasto tranquillo nella sala di Clemente VII? La cosa tra l’altro aveva anche un po’ preoccupato alcuni fiorentini, sgomenti dalla sua minaccia di mettersi a fare il sindaco per davvero …..
Ma di una cosa a Renzi bisogna pur dare atto: che pur non avendo dimostrato assolutamente nessuna capacità particolare nelle cariche che ha rivestito e che purtroppo riveste, ha saputo senz’altro e sa dare al suo mondo politico un segnale forte, di discontinuità, che evidentemente viene apprezzato, divide, impone delle scelte. Non si tratta certo di raccomandarlo come modello, anzi; la grande tragedia della politica italiana contemporanea è proprio la totale assenza di figure e la strabocchevole quantità di figuri. In questo contesto, il sindaco fiorentino ha dimostrato sinora senz’altro abilità e astuzia, ma non certo di avere neppure la parvenza delle qualità di uno statista.
Per quanto riguarda Gianni Alemanno, aveva alle spalle un background, una cultura e un curriculum che Renzi neppure si sogna. Non solo perché è stato ministro (per quello oggi, nella maggior parte dei casi, meriti e capacità sono un grave handicap) ma soprattutto per una storia politica in cui ha saputo a suo tempo dimostrare coraggio, decisione e anche capacità di mettersi in gioco. Difficile dimenticare quando nel 1989 a Nettuno ebbe l’ardire di contestare apertamente la visita del presidente americano Bush senior , in nome dell’indipendenza e della dignità nazionale, ricavandone botte dalla polizia (e non con ombrelli) e anche un arresto, che tra l’altro non era neppure il primo. Così come, in campo culturale, avrebbe forse potuto mettere un po’ meglio a frutto la grande lezione di Rauti, di cui è stato per anni uno dei seguaci più eminenti.
Certo, è un po’ difficile pretendere che il sindaco della capitale si metta a buttar fuori a calci capi di stato poco simpatici o sgraditi, a dissertare sulle idee che hanno mosso il mondo. Ma non è certo questo il punto. La sensazione è che anche Alemanno si sia del tutto lasciato alle spalle un certo retaggio, che solo potrebbe renderlo credibile come interprete di quei valori “della destra” e che giustificherebbero l’appoggio di chi, nonostante tutto, si riconosce ancora in certi valori. E che di quelle famose idee, per l’appunto, si sia perso persino il ricordo.
Se il sindaco Alemanno abbia o meno migliorato le condizioni di Roma e la vita dei Romani, questo possono saperlo e valutarlo solo i diretti interessati. Ma quello che dispiace è di non aver mai sentito da lui in questi anni una presa di posizione chiara e forte, al limite della rottura, nel contesto di totale degrado, civile, culturale politico e morale, in cui il nostro paese va sprofondando. Quanto dunque anche lui possa essere un’alternativa a Marino proprio per quelle cose che vanno anche al di là delle competenze di un sindaco è ben difficile dire e comunque è un po’ tardi adesso per dimostrarlo.
Chi per anni è stato protagonista di lotte del Fronte della Gioventù, di battaglie ideali in cui si pensava non a colmare le buche delle strade ma i grandi vuoti della coscienza nazionale, non dovrebbe oggi avere neppure bisogno di appelli di questo genere, che suonano molto di più come difese d’ufficio che non come un sostegno convinto. Se Alemanno perderà Roma non sarà tanto per merito del suo avversario ma per avere forse gettato nel Tevere il suo passato. E avere così sprecato una grande occasione, che poteva fare di lui un leader non solo per il Campidoglio, ma anche per qualcosa di molto di più.
Peccato.
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