La questione turca

Dalla difesa di un parco alla minaccia rivoluzionaria

Erdogan è accusato di eccessiva islamizzazione del paese che metterebbe a rischio il benessere conquistato negli ultimi decenni

di Tommaso Luigi Bedini

Dalla difesa di un parco alla minaccia rivoluzionaria

Recep Tayyip Erdoğan

«Tutta la mia famiglia abitava negli appartamenti che componevano il palazzo Pamuk a Nisantasi,  di fronte a questo edificio si trovava un castagno che aveva circa cinquant'anni e che, per fortuna, è ancora lì. Un giorno, però, nel 1957, il comune decise di tagliare quell'albero per allargare la strada. Burocrati presuntuosi e amministratori autoritari ignoravano l'opposizione del quartiere. Così, il giorno in cui l'albero doveva essere abbattuto mio zio, mio padre, e tutta la famiglia rimasero in strada giorno e notte, facendo a turno per fare la guardia. In questo modo abbiamo protetto il nostro albero, ma abbiamo anche creato una memoria condivisa che l'intera famiglia ricorda ancora con piacere, e che ci lega l'un l'altro».

Così scrive il Premio Nobel Orhan Pamuk nel suo libro “Istanbul”, storia che ricorda molto la miccia che ha innescato la bomba esplosa undici giorni fa in Piazza Taksim a Istanbul. Tutto è cominciato con un sit-in per protestare contro la decisione del Comune di Istanbul, di abbattere gli alberi del parco Gezi, uno dei pochi spazi verdi della città, per far posto ad un centro commerciale. La violenza delle forze dell'ordine contro i manifestanti ha scatenato l'indignazione dei cittadini di tutta la Turchia e non solo, ha fatto sì che in migliaia scendessero nelle piazze di tutto il Paese per protestare contro il governo di Erdogan, riaprendo così vecchie ferite e dando sfogo a sentimenti che, evidentemente, erano latenti in buona parte della società civile turca. E così anche Pamuk si schiera coi manifestanti denunciando «l'approccio offensivo e autoritario del governo del Premier Erdogan» come riporta il Hurriyet on-line dove ancora si legge:  «mi dà fiducia e speranza nel futuro vedere che i cittadini di Istanbul non rinuncino così facilmente al loro diritto di manifestare».

Intanto anche quella di ieri è stata una giornata di scontri ad Ankara, dove non si placano i malumori nei confronti del governo: l'associazione dei consumatori ha presentato un esposto contro il Primo Ministro Erdogan e altri membri del governo accusati di aver dato ordine alle forze di polizia di usare gas lacrimogeni contro i manifestanti, sulla stessa linea si è mossa l'Associazione degli avvocati di Ankara che ha presentato una denuncia contro ignoti per atti violenti contro i manifestanti. Dall'altra parte della “barricata” Erdogan e i suoi sostenitori si sono riuniti in piazza Kizilay, nella capitale, dove il Premier ha dichiarato: «i manifestanti pagheranno un prezzo, chi non rispetta il partito al potere pagherà un prezzo».

Intanto la Borsa di Istanbul fa registrare perdite molto considerevoli: lunedì scorso è stato un lunedì nero, con una perdita del 10% mentre questo lunedì  l'apertura è stata rinviata, ufficialmente per cause tecniche, in realtà a causa del perpetrarsi degli scontri che stanno mettendo in seria difficoltà l'economia interna del Paese.

Quella del popolo turco pare proprio essere una protesta molto più che ambientalista, infatti il vero bandolo della matassa è la volontà del Premier Erdogan e del suo partito di islamizzare una società che trae origine e ispirazione da Mustafa Kemal Ataturk, eroe nazionale indiscusso, che con la sua opera di stampo nazionalista e laicista, ha reso la Turchia una repubblica indipendente di stampo occidentale (non dimentichiamo per esempio che proprio Ataturk ha introdotto l'alfabeto latino al posto di quello arabo fino ad allora utilizzato per scrivere la lingua turca), elementi che hanno portato negli ultimi anni ad un vero e proprio miracolo economico turco, tanto che gli economisti hanno coniato la definizione di “la Cina dell'Europa”, espressione che riassume il boom economico della Turchia contemporanea.

La volontà di una larghissima parte dei turchi di liberarsi dalle ingerenze sempre più oppressive e fondamentaliste dell'attuale governo vanno lette proprio in questa chiave: il voler conservare la memoria storica di una fondazione della nazione su basi laiche e repubblicane diverse da quelle che attualmente vengono proposte (o sarebbe meglio dire imposte) da Erdogan. Ecco allora che il parco Gezi di Istanbul diventa la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo. Forse è prematuro parlare di “Primavera turca” e paragonare queste manifestazioni alle Primavere arabe, se non altro perché quelle arabe hanno portato al potere partiti di stampo islamico nei diversi Paesi nord-africani. Non resta che attendere sviluppi ulteriori partendo dal presupposto che sono in corso cambiamenti molto importanti all'interno della nazione turca.

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