Editoriale

Gli «scalpellini» di Letta

Il premier richiama gli antichi costruttori di cattedrali come modello della politica, e se ciò non avvenisse in un contesto così sordo ci aprirebbe ad un barlume di speranza

Mario  Bozzi Sentieri

di Mario  Bozzi Sentieri

urante il suo intervento alla presentazione di un libro su Beniamino Andreatta,  il presidente del Consiglio, Enrico Letta,  ha richiamato  un’immagine cara  al professore, del quale è stato allievo e collaboratore politico : “Il presidente Napolitano è l’applicazione oggi nelle nostre istituzioni di quel concetto che ad Andreatta piaceva tanto: l’evocazione degli scalpellini medioevali".

Un concetto -  ha aggiunto -  “che mi viene in mente soprattutto in questi giorni di protagonisti vocianti che cercano l’immediato consenso, i riflettori su qualcosa di effimero e che lasciano il campo a un nuovo effimero qualche ora dopo”. Al contrario, ha concluso Letta, preferisco quegli “scalpellini medioevali che facevano perfettamente anche quelle guglie che non davano sulla facciata e che soltanto i piccioni e Dio potevano vedere”.

Il richiamo è suggestivo, ancorché segnato da una evidente simbologia massonica. L’idea del lavoratore silenzioso ed anonimo, costruttore di cattedrali, recupera l’immagine di un tempo, in cui era la coralità delle imprese  a fare grandi i popoli, le cattedrali e le città. Non era  un caso o un esempio di “buona volontà” individuale e collettiva. A sostenere quello sforzo di costruzione c’era un’idea della vita e del mondo forte e radicata, in cui centrale era il senso del Sacro, l’appartenenza ad una Comunità di destino, la condivisione di principi, in grado di informare le azioni degli uomini., di dare loro “forma”.

Al di là della facile “evocazione” e dell’”incensamento” verso il Napolitano-salva-Italia, quanto, oggi, sopravvive di quello spirito ? Poco, quasi nulla. Ai nostri giorni, in questo Paese, la politica, ma anche l’azione sociale e culturale non hanno alla loro base una “visione” alta, condivisa e partecipativa, della vita e del mondo.  Si alimentano di interessi materiali. Si appagano nell’effimero. Tendono a difendere il particulare. Vivono alla giornata, non riuscendo a favorire quel clima di condivisione collettiva che dava un senso alto al lavoro non solo degli scalpellini delle cattedrali, ma anche ai carpentieri, ai falegnami, ai portatori di pietre, tutti partecipi dell’impresa, tutti decisi a lasciare un “segno” del loro passaggio. Tutti impegnati a “fare bene”. Tutti un po’ operai e un po’ artisti, nel senso indicato da San Francesco, per il quale “Chi lavora con le mani è un operaio, chi lavora con le mani e la testa è un artigiano, chi lavora con le mani, la testa e il cuore è un artista”.

Di quello spirito oggi  c’è un grande bisogno. Non per fare della facile retorica istituzionale . Ma per costruire nuovamente “cattedrali”, materiali e spirituali, civili e sociali, ricominciando  a rimettere insieme i cocci di un’Italia sfibrata e stanca, che ha un grande bisogno di credere in se stessa.

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