Editoriale

La libertà del relativismo etico e la fine della famiglia

La cosiddetta moratoria sui temi etici sposta l'attenzione dai veri problemi del paese per sostenere la cultura dominante del politicamente corretto

a famiglia è uno dei temi cruciali della realtà contemporanea. Non passa giorno che non vengano diffusi rapporti ed inchieste sull’argomento. Le proposte si sprecano. Così pure gli appelli. La crisi della famiglia, considerata ancora il fondamento dell’ordine civile, si intreccia  con le questioni dell’etica e del “buon vivere”, con quelle dell’economia e della geopolitica, della tenuta sociale, della previdenza, dei conti pubblici.

Il mondo cattolico è  in prima fila in questa battaglia. Per la dottrina cattolica  la famiglia deve “farsi Chiesa” - scriveva  Pio XI nella “Casti connubi”, diventando il luogo  dell’educazione alla fede. In anni più di recenti, Giovanni Paolo II  ha  ricondotto ad unità le realtà della Chiesa e della famiglia, pur nella loro distinzione, mostrando il pieno valore di entrambe e il loro apporto insostituibile in vista della “nuova evangelizzazione”.

Lo stesso Giovanni Paolo II (in “Veritatis splendor”) non ha tuttavia potuto fare a meno di evidenziare, con grande realismo, che “la contrapposizione, anzi la radicale dissociazione tra libertà e verità è conseguenza, manifestazione e compimento di un’altra più grave e deleteria dicotomia, quella che separa la fede dalla morale”.

Tra tanti documenti, analisi, appelli, inviti, il nocciolo della questione sta tutto qui. E non è di facile soluzione. Lo si può vedere nella vita vissuta di tanti cattolici, negli stessi orientamenti politici di chi a quei principi si richiama, nel “moderatismo” etico di quanti, impegnati a coniugare liberalismo ed etica, finiscono per cadere vittime del libertarismo e del relativismo.

E’ scivolata via senza grandi dibattiti, ma rimane agli atti, la proposta di legge pro “gay and lesbian partnership”  , come si legge nel titolo, a firma dei parlamentari del Pdl  Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Mara Carfagna , Stefania Prestigiacomo, Gabriella Giammanco e Laura Ravetto.  Il senso della proposta – ha dichiarato Galan –   è affermare il  “diritto alla felicità”. Immagine, questa, che, nella sostanza, evoca facili illusioni mondane, scardina ogni  richiamo al “diritto naturale” e – nella sostanza – mette in secondo piano la famiglia “tradizionale”, aprendo il campo a qualsiasi sperimentalismo relativista, nel segno della dittatura delle maggioranze.

In realtà la “colpa” non è solo di Galan e di chi confonde liberalismo con liberal. Il problema è che quanti, per appartenenza e scelta di vita, hanno il dovere non solo di affermare ma soprattutto di “rappresentare” i principi dell’etica tradizionale, in realtà, nella prassi, quotidiana, paiono più disponibili al compromesso, al facile “giustificazionismo”, al quieto vivere che all’affermazione convinta dei principi professati.  Con questo perdendo di vista la reale partita in gioco.

La “frontiera” della famiglia rappresenta infatti la linea più avanzata di un fronte intorno al quale si agitano e si sovrappongono temi quali la vita, la procreazione, la morte, che rappresentano il nocciolo duro ed essenziale delle grandi questioni etiche sulle quali  è chiamato ad interrogarsi l’uomo contemporaneo.

Senza limiti morali la libertà del relativismo etico finisce per sovrastare i diritti altrui, mentre la legge diventa un fragile paravento, inadeguato a proteggere le vittime del relativismo stesso.

Pensiamo, nel campo del diritto di famiglia,  alle conseguenze del divorzio nei confronti del coniuge debole e dei figli; nel caso dell’aborto ai diritti del nascituro e a quelli del padre non consenziente; nel campo della bioetica ai rischi determinati da normative che avvalorano l’eutanasia contro il soggetto malato.

La libertà del relativismo tanto più è assoluta, cioè senza limiti, tanto più appare foriera di nuovi traumi all’interno del corpo sociale. Ma di questo anche i “buoni cattolici” non sembrano accorgersene, sovrastati dalla cultura dominante, schiacciati dal “politicamente corretto”, soffocati nel loro diritto-dovere di dare esempi.

Il resto – passateci la chiosa “semplificatoria” – sono chiacchiere, utili per riempire qualche bel documento e rinfrancare i cuori, ma nulla di più. Pura retorica, purtroppo.