Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
erlusconi condannato, assolto, rinviato? Alla resa dei conti, quelli veri, poco conta: la verità è che il nostro Paese era già politicamente finito vent’anni fa. Lo aveva capito Aldo Moro, lo avevano, di contro, compreso le Brigate Rosse. Poi il concetto divenne fin troppo chiaro perfino alla magistratura, quindi allo stesso Berlusconi che regalò ad un elettorato sgomento, impaurito e ideologicamente allo sbando, un’altra opportunità, se si vuole un sogno.
Una giostra dei sensi piena di alti e bassi durata, appunto, vent’anni. Una cosa ora è certa - ora come allora - non sarà la magistratura a far resuscitare l’Italia, e ogni decisione che sarà presa dalla Cassazione in merito al processo Mediaset, in automatico non cambierà nella sostanza lo stato delle cose. Non migliorerà il debito pubblico, non muterà il sistema fiscale, né il costo del lavoro, non metterà argini alla disoccupazione, né ci farà contare più in Europa. E comunque, non rinsalderà il senso di appartenenza tra i cittadini, né ricucirà il rapporto di fiducia tra loro e la politica, anzi. C’è da attendersi, qualunque sia l’esito, una ulteriore frattura all’interno dei maggiori partiti politici con la conseguenza di un pessimo spettacolo.
Il rischio più grande è che potremmo essere giunti alla resa dei conti. Quella che avremmo dovuto fare vent’anni fa: e se Berlusconi venisse condannato, la sentenza peserebbe non solo sulla nostra storia passata ma soprattutto su quella immediatamente futura. Ridotta in favola la formula del maggioritario, per esempio, ci troveremmo ad una frammentazione dell’offerta politica di antica memoria, a maggioranze composite e traballanti, e soprattutto dinnanzi a film già visti. Ma se il leader del centro destra fosse assolto, mi domando, il sistema politico terrebbe? No, non credo. Cambierebbero solo i tempi, forse le modalità.
Silvio Berlusconi politico non è riuscito a compiere la (probabilmente) necessaria rivoluzione liberale che aveva promesso. Molte le giustificazioni del suo fallimento, ma diverse e gravi anche le colpe: la prima, al di là di ogni contingenza, a mio avviso è da ascrivere alla sua incapacità di creare (o individuare) una classe dirigente all’altezza del compito che gli italiani - anche coloro che non l’avevano votato - gli avevano affidato. Debole poi, la destra che lo ha affiancato, modesta la proposta complessiva di rinnovamento delle istituzioni. Ha prevalso la conservazione delle posizioni di rendita, di ogni posizione (libere professioni, apparati dello Stato e tutto il resto) perché il personale politico che doveva rinnovare, non ha avuto la statura né culturale, né (purtroppo) morale, per farlo. Una su tutte: ma come si può pensare di riformare la giustizia con un parlamento ostaggio delle Procure a causa di presunti o effettivi reati imputabili ai suoi componenti e persino ai ministri?
Nella sinistra, poi, in questi ultimi vent’anni, ha prevalso la sua anima conservatrice e biecamente reazionaria (del resto storicamente predominante). E nei momenti salienti s’è fatta portavoce delle istanze meno riformatrici: s’è fatta dettare la linea dai sindacati e dai quotidiani-partito, che hanno aizzato lo scontro frontale con il centro-destra, assimilandolo in tutto per tutto all’immagine del suo leader. Un leader da abbattere più che da battere.
Se siamo esattamente tornati a vent’anni fa - crisi economica che morde, disoccupazione esponenziale, collasso dei partiti, magistratura che decide oltre ogni legittimo alveo istituzionale - certo non bisogna commettere i medesimi errori. Ma non vedo altre soluzioni se non chiedere a gran voce ) alla politica (anche con gesti forti, democratici ma forti) di fare la più grande delle riforme necessarie, quella di riformare sé stessa.
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