Editoriale

Mediaset: la discrezionalità inquietante di una sentenza

Tal verdetto ha il sapore sprezzante di una logica bigotta che certo non contribuisce a rivedere i grandi dubbi sull’italica giustizia

 

di  

’intreccio tra delitto e corpus delicti, tra vita processuale e costruzione concettuale del reato, non appare mai in Claro… mai.

Solo congetture e teoremi di bassa filosofia giuridica, solo personali interpretazioni che hanno portato ad una sentenza inconsueta et eccezionale.

I sommi giudici della Cassazione, quindi, hanno cassato ogni ricorso della difesa confermando quanto già definito in precedenza nei passaggi processuali, rimandando ad altri la definizione delle pene accessorie.

La conferma della condanna è stata partorita dopo 7 ore di camera di consiglio e la maggior parte delle persone capaci di intendere e volere si domandano il perché di tutto questo tempo consumato per un verdetto che il mondo intiero conosceva e s’immaginava da mesi.

Il Giusnaturalismo, o dottrina del diritto naturale, è contrassegnato da una fondamentale dicotomia secondo cui sopra all'ordinamento statale scritto s’ipotizza un ordinamento razionale il quale esige che il diritto scritto gli equivalga: detto ordinamento superiore è, guarda caso, la giustizia, la teorizzata giustizia immaginata da ciascun individuo.

E ciascun individuo, se non nato con gravi problemi psicologici et ambientali, congettura una giustizia che lo rappresenti, lo difenda quando serve e sia lontana anni luce da intrecci con la Res Publica, con le personali interpretazioni del diritto a discapito di questo o quello, e sia nettamente equidistante dalle parti in causa.

Insomma, quanto sopra per arrivare a dire che un uomo ricco -potente, amante della bella vita, odiato da metà Italia e dell’altra venerato, alla ribalta della politica da vent’anni- è stato miseramente eliminato da una sentenza letta in maniera “azzeccagarbugliesca”, evidenziante un disastro all’immagine dell’individuo difficilmente ipotizzabile.

Come scritto su queste pagine ci aspettavamo, finalmente, un giudizio equo, distante anni luce da interessi partitici, ma, evidentemente, chi, invece, era distante anni luce dalla dura e spietata realtà italiana era l’autore del testo, cioè il sottoscritto, un’aberrante idealista che evidentemente crede ancora ai draghi, ai principi e alle fate, e si dimentica spesso degli orchi.

Tal verdetto ha il sapore sprezzante di una logica bigotta che certo non contribuisce a rivedere i grandi dubbi sull’italica giustizia, impegnata da lungo tempo, forse da quando un futuro capo partito affermò che Mani pulite non era attribuibile alla Procura Milanese, in una personale battaglia dei vent’anni ad un leader Populista, terminata ieri pomeriggio.

Lo stesso Napolitano ha tenuto a puntualizzare che la magistratura ha fatto il suo lavoro, ma che occorre quanto prima una decisiva e necessaria riforma della giustizia.

Come dire, anche questa volta avete voluto il morticino in casa, ma da domani si cambia.

La sentenza di ieri, però, ha anche voluto dare un avvertimento serio, con l’indice puntato:

guai, ad essere politici di una certa sponda, carismatici, dai modi e dal linguaggio rivoluzionari, un tantino sopra le righe e nemici dei PM.

Non conviene, perché, sennò, ti spediscono nel lussuoso Grand Hotel Carceri d’Italia, e, se non sei un assassino, ci rimani ospite per un bel po’.

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