Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Eleonora Duse
Massimo Bontempelli, celeberrimo scrittore nostrano, fa anche teatro. E lo fa bene. Il dramma La Guardia alla luna, del ’16, celebra l'inizio di una lunga serie di opere teatrali targate Bontempelli. A detta di Baldacci, questo suo esordio teatrale ha “i caratteri di un pieno e conflagrante epressionismo”, al quale segue Siepe a nordovest, del ’19, che mette a confronto il mondo degli uomini con quello delle marionette.
La commedia Nostra Dea è invece del ’25 e affonda, più efficace che mai, su un impianto di esplicita critica sociale. L’autore tratteggia la dissoluzione morale del personaggio all’interno di un ambiente corrotto.
La commedia Minnie, la candida, del ’27, si impone addirittura in senso anticapitalistico. La verve polemica raggiunge l’acme quando descrive il processo di massificazione che imprigionerà l’uomo nelle maglie del nuovo capitalismo. La persona diventa quindi prigioniera della produzione, restando soffocata da gesti alienanti.
Gli anni Quaranta sono invece scanditi da opere come Cenerentola (1942) e Venezia salva (1947)_.
Intenzionato a sfondare anche nell’ambito teatrale, lo scrittore comense parla di un teatro che “ha già fatto il suo tempo” e che ormai ha poco da dire. Acqua passata, quindi. A meno che non si rigeneri, il teatro è destinato a scomparire.
Come rigenerarlo quindi? Semplice quanto l’uovo di Colombo: basta lanciare qualche opera sperimentale. Proprio come La guardia alla luna e Siepe a nordovest.
La guardia alla luna è composta nella primavera del 1916 per Maria Melato, prima attrice nella compagnia di Virgilio Talli, e pubblicata nella rivista “Comoedia”_. Siepe a nordovest è invece scritta nei primi cinque giorni di gennaio del 1919_.
Sono gli anni questi, tra il 1916 e il 1919, in cui Bontempelli aderisce al movimento futurista. Già nella primavera del 1919, però, si allontana dalle istanze futuriste e inizia a considerare il movimento marinettiano l’ultimo rantolo disperato della declinante arte romantica. Ma anche l’unico impulso utile a costruire la nova arte_.
E’ infatti dal 1919, cioè da quando nella rivista “Ardita” pubblica i dieci “romanzi d'avventure”, (e l'anno dopo escono nel volume La vita intensa. Romanzo dei romanzi) che Bontempelli inizia a sancire un giudizio storico sul futurismo. Considera soprattutto la novità iconoclastica, e il grande merito di aver sbarrato la strada all’Ottocento e quindi aver permessa la nascita del Novecento_.
La guardia alla luna ricorda vagamente l’espressionismo tedesco, nello specifico lo Stationendrama, struttura drammatica in cui sono allineati quadri o atti, sempre ben divisi tra loro e con ambienti preferibilmente distinti_. E’ proprio nell'ambiente futurista, vera testa di ponte del panorama della letteratura europea, che Bontempelli può incontrare gli espressionisti tedeschi_.
Marinetti stesso è arcinoto nell’ambiente espressionista tedesco, in particolare ad Alfred Dòblin, che accolse con favore gli ascendenti stilistici del futurismo. Non manca qualche critica a Marinetti per l’istintiva foga che gli costa soluzioni incomplete. In una lettera aperta indirizzata a Marinetti nel 1913, Dòblin giudica il romanzo marinettiano Mafarka il futurista un susseguirsi di termini che però non trovano un senso organico. Tanto che lo definisce eine futuristiche Worttechnik_.
Ne La guardia alla luna la sceneggiatura si compone di singoli quadri che si differenziano, e parecchio, sia rispetto al tempo che al luogo. Tuttavia, l’unità poetica dell'opera è realizzata attraverso la figura cardinale di Maria, che funge da collante organico di tutte le singole sezioni.
Il dramma si ispira, neppure velatamente, al manifesto di Marinetti Uccidiamo il chiaro di luna!, ma solo superficialmente, perché l’autore, a differenza dei futuristi, non sostituisce il mito romantico della luce lunare con la glorificazione delle macchine e della tecnica, espressa simbolicamente dalle “trecento lune elettriche”, che spazzano via “coi loro raggi di gesso abbagliante l'antica regina verde degli amori”_.
Soprattutto, La guardia alla luna è un’opera che, come sottolinea Livio, è tutta tesa “al pessimismo radicale e corrosivo tipico del teatro del grottesco della cui storia Guardia alla luna fa parte di pieno diritto come uno dei testi più significativi”_. Certo, quel teatro piuttosto sperimentale si specchia nella commedia tragicomica, preferibilmente traboccante di situazioni paradossali condite con una magistrale retorica.
Questa composizione piace da matti a due celebri attrici. La prima è Eleonora Duse_, che dopo aver letto il manoscritto consegnato direttamente dall’autore, commenta in questi termini: “È una cosa per il teatro. Breve, serrata, densa d'azione, di realtà e di sogno, con qualche tocco d'anima, assai bella”_. La seconda è la Melato.
Nel 1920 Bontempelli spiega che il teatro, se vuole liberarsi della mediocrità e della meschinità, deve rivolgersi al grande drammatico o al grande comico. Ma è una linea, questa, che Bontempelli ignora proprio a partire dalle opere successive a La guardia alla luna_.
A partire quindi da Siepe a nordovest, che nel sottotitolo presenta la dicitura Farsa in prosa e in musica. Questo perché negli snodi principali è accompagnata da un commento musicale, composto da Bontempelli in prima persona. Per la precisione, sono quattordici minuscoli brani, aggiunti in appendice alla farsa_. Bontempelli scrive musiche anche per altre sue opere teatrali e definisce i suoi interventi musicali “ufficio integrativo, e quasi scenografico”. Ma dopo quelle prime composizioni, inizia a produrre musica in modo regolare e anzi sostenuto. Sostiene infatti sia “naturalissimo che certe cose lo scrittore debba esprimerle per accordi e melodie, come si trova naturale a un pittore di mettersi di quando in quando a modellare in creta o plastilina”. Scrivere musica è sinonimo di emancipazione per lo scrittore. E’ un’esperienza che lo aiuta a ritrovare una nuova libertà e la capacità di trascendere i limiti della parola.
Le azioni sceniche sono multiple e simultanee. Contemporaneamente agiscono sei attori, tra cui un marionettista, accompagnati da marionette e burattini.
Episodi che sembrano scontati per gli uomini alle marionette appaiono come veri e propri prodigi di fronte ai quali restare meravigliati.
Non manca la polemica e la critica allo stile borghese, rappresentato dal classico ma patetico triangolo marito – moglie – amante. Le marionette sono superiori, dominano la scena. O meglio dominano i borghesi perché moralmente più elevate.
I rapporti tra gli uomini e i pupazzi sono addirittura invertiti. La vita borghese, molto poco autentica, della vita degrada gli uomini a esseri inanimati e inespressivi; apatici, perfino. D’altronde, qualche anno più tardi lo stesso Regime darà questa immagine disprezzante e disprezzata della borghesia. Le marionette, al contrario, si elevano a esseri autentici, coscienti, quasi celesti_.
Il secondo intermezzo di Siepe a nordovest è forse il più significativo dal punto di vista dell’intuizione e della riflessione filosofica. L’opera, attraverso Colombina, traccia una gerarchia tra uomini, marionette e burattini. Gli uomini e le marionette si assomigliano, ma le seconde sono per il burattino più simpatiche degli uomini. La verità assoluta è però appannaggio dei burattini, che dall’alto della loro saggezza osservano e giudicano sia le marionette che gli uomini.
La finzione scenica coincide quindi con la realtà mentre la vita altro non è che un’ampia pantomima in cui gli uomini recitano per volontà del destino.
Il surreale si rivela nel reale, mentre la realtà è fatta arte. Scusate se è poco.
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