Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
La data dell’ 8 settembre rimanda alla categoria degli anniversari da trattare con cura, esposta com’è stata, nei settant’anni che ci dividono dall’inglorioso armistizio del 1943, alle intemperie delle interpretazioni faziose, delle manipolazioni partigiane, del giustificazionismo senza fondamenti.
Vicenda dai risvolti drammatici e non solo per le note vicende delle quali, in questi giorni, si ricorda il settantesimo anniversario, intorno alla data-simbolo, sono state risucchiate e disgregate storie personali e collettive, illusioni e miti condivisi, speranze e certezze, che, fino ad allora, avevano informato il popolo italiano e non solo durante il ventennio fascista.
Quella che viene travolta nel settembre 1943 è anche l’Italia risorgimentale e coloniale, umbertina ed interventista, l’Italia che, nel 1911, aveva orgogliosamente celebrato il primo mezzo secolo di vita, che, a fatica, si era avviata sulla strada dell’industrializzazione, che aveva conquistato, sulla sponda libica, il suo ruolo mediterraneo, che aveva saputo saldare lavoro e nazione.
Per questo, chi interpreta, nel nome della rivincita antifascista, l’8 settembre come il momento della rinascita e del riscatto, dimostra di non avere la percezione del trauma provocato dall’armistizio ed il senso di una rottura psicologica, ancora prima che politica ed istituzionale, che non poteva non pesare negli anni a venire, di fronte alle immagini di un sistema burocratico-amministrativo andato in frantumi, di una dinastia in fuga, di un apparato militare a pezzi.
Per questo, di fronte alle macerie materiali e spirituali di settant’ anni fa non è improprio parlare di “morte della Patria”, avendo la consapevolezza di distinguere tra ciò che costituiva e costituisce il senso di un’identità condivisa e l’idea di Stato nazionale, tra le ragioni dell’appartenenza e quelle del destino.
Nell’ambito dell’identità nazionale va ascritto ciò che comunque unisce gli italiani: la lingua, l’arte, le tradizioni incarnate negli edifici dell’orgoglio comunale, negli affreschi dell’identità delle patrie (grandi e piccole) che hanno concorso a “fare l’Italia”, nella letteratura , nella musica, nella religiosità, nella “genialità” del nostro popolo. E’ il senso del “tricolore” ritrovato, dopo tanta fatica. E’ l’inno cantato senza vergogna.
Altro è ciò che appartiene all’idea di Stato nazionale, che riguarda il rapporto tra i cittadini e le istituzioni, che impegna i ceti dirigenti, che responsabilizza le pubbliche amministrazioni, che dà un senso alla Scuola, alle politiche sociali, alla solidarietà, al nostro essere in Europa e nel Mondo. E’, nel profondo, capacità di sapere “leggere” i lunghi elenchi di nomi, che segnano le lapidi dei “Caduti per la Patria”, presenti in ogni parte d’Italia, dalle grandi città al più piccolo paese. E’ la percezione di un destino comune, che va oltre le personali attitudini, i luoghi di appartenenza, i ceti sociali, i partiti politici.
Rispetto a tutto questo, in ragione di quanto è accaduto l’8 settembre 1943, noi continuiamo a pagare i ritardi provocati dalla rottura del patto tra gli italiani e la propria Storia, tra la Nazione e lo Stato.
L’auspicio, dopo tanti anni e sull’onda dell’anniversario, è di riuscire finalmente a superare le interpretazioni strumentali, capendo, nel profondo, le vicende che hanno segnato l’Italia dal settembre 1943, anticamera tragica del biennio seguente, conclusosi, dopo la guerra civile, il 25 aprile 1945.
Ne ricaveremmo utili chiavi di lettura anche per l’attualità, cominciando, come italiani, a porci qualche domanda in più sul senso di un disastro che comunque ci portiamo dentro, sulle ragioni delle difficoltà di rapporti tra i cittadini e le istituzioni, sul peso che ha avuto ed ha la partitocrazia, sulle responsabilità democristiane e comuniste nella cinquantennale spartizione del potere e nella divisione degli italiani, sulla debolezza delle nostre istituzioni, malgrado la Costituzione, nata sull’onda dei tragici eventi di settant’anni fa, venga retoricamente considerata “la più bella del mondo” e perciò sia, di fatto, intoccabile. Solo allora, forse, potremo iniziare a voltare veramente pagina, sia rispetto ad una Storia che non sembra volere mai passare, sia di fronte ad un destino che prima o poi dovremo consapevolmente ricominciare a riscrivere.
Inserito da ghorio il 09/09/2013 09:30:09
E' sempre difficile avventurarsi sulle vicende d' Italia dall'avvento del fascismo ad oggi ma si potrebbe dire dal Risorgimento ad oggi, con interpretazioni, visti sempre da destra e da sinistra. Ad ogni modo per l'Italia dovrebbe valere la regola di altre nazioni dove c'è stata la guerra civile. Alla fine in queste nazioni c'è stata la riconciliazione mentre qui impera ancora il fascismo e l'antifascismo, con tutte le conseguenze negative. Ad ogni modo la favoletta della "Costituzione più bella del mondo" bisognerebbe smentirla ad ogni istante ma il conformismo imperante in quest' Italia impedisce anche questo. C'è da sperare che si cambi veramente e si parli e si scriva di valori che contano in una società civile, tra cui l'amore per la propria Nazione.
Inserito da Claudio il 07/09/2013 08:30:50
Marco Gasparini Claudio Razeto 1943 Diario dell'anno che sconvolse l'Italia Castelvecchi editore Il 1943 fu indubbiamente l’anno che cambiò il corso della Seconda Guerra Mondiale e i cui eventi determinarono il crollo del regime di Mussolini in Italia e la conseguente guerra civile. Da allora la data 8 settembre, quella dell’armistizio con gli Alleati, rimarrà per sempre nella storia degli italiani come sinonimo di caos e di sfascio, di fuga e di disonore ma anche di riscatto e di orgoglio come accade così spesso nella storia del nostro Paese, capace di reazioni estreme quando la situazione si fa insostenibile. Dodici mesi terribili ed eclatanti in cui accadde di tutto e di tutto si disse. Dalla fine del regime fascista alla ritirata dell’Armata italiana in Russia, dall’ultima battaglia d’Africa in Tunisia allo sbarco in Sicilia. Il lavoro di Gasparini e Razeto è la ricostruzione quotidiana di un anno ad alta intensità. Trecentosessantacinque giorni raccontati ai lettori tramite documenti ufficiali, lettere, diari privati – come quelli di Ciano, Bottai, Rachele Mussolini e De Bono – archivi e giornali dell’epoca e materiale storico di Esercito, Aeronautica e Marina Militare. Una fedele trascrizione di ogni singola giornata, un diario scritto con le voci dei protagonisti che riserva non poche sorprese su ciò che accadde in quell’anno.
Inserito da Sabyda il 06/09/2013 16:43:19
Un bello spaccato di storia, conosciamo e ci fa molto bene a tutti, l conoscenza e essere istruiti nel senso di sapere come sono andate nel coso nel corso della storia , ci rimanda a capire e intuire molte situazioni che va ci vogliono offuscare con argomenti frivoli e di apparenza. Le persone che usano il cervello cercano di leggere e anche di documentarsi in tutti i modi e pur avendo le mani legate almeno nn affogano nell' oblio.
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