Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
span style="font-size: 18px;line-height: 21px;-webkit-tap-highlight-color: rgba(26, 26, 26, 0.292969);-webkit-composition-fill-color: rgba(175, 192, 227, 0.230469);-webkit-composition-frame-color: rgba(77, 128, 180, 0.230469);font-family: Times;">E’ una questione di numeri, certo, ma non solo. Seppure sommando i transfughi, i senatori a vita e un po’ di umanità varia, si arrivasse a quota 161 (il numero minimo per una maggioranza), un Letta bis sarebbe politicamente improbabile. Non è solo la mancanza dei ministri del Pdl a delegittimarlo, anche la poca solidarietà di un importante gruppo di maggiorenti del Pd lo renderebbe talmente debole da farlo sembrare un morto. Del resto la Merkel e Draghi sarebbero paradossalmente più contenti di aver un’Italia senza guida politica, che per un po’ di tempo imbocchi per inerzia e senza troppo chiasso, la via segnata dall’Unione europea.
Quindi la strada per le urne oramai sembra definitivamente segnata. A meno che… a meno che avvenisse una paradossale (ma non per questo assolutamente impossibile) inversione di marcia di Berlusconi.
Ne farebbero le spese, a tal punto più di ogni altro, i ministri targati Pdl che ora sono presi da mal di pancia tremendi e hanno urlato i loro strali all’indirizzo dei cattivi consiglieri del Cavaliere. Quagliariello, Lupi, Lorenzin, Alfano (tace la più accorta De Girolamo), di fatto alcuni maggiorenti li hanno sempre considerati una sorta di “fusibili” utili per non far andare in corto circuito il partito, in un'alleanza di governo fin da principio oltre modo forzosa e dal destino quasi segnato. Nomi sacrificabili al momento opportuno, insomma. Scelti non tanto per esprimere le istanze del Pdl, ma perché in quel partito rappresentavano la parte più vicina e culturalmente assimilabile alla “Fondazione Vedrò”, il gruppo di giovani post democristiani di collocazione eterogenea, presieduto da Enrico Letta.
Voglio dire che, tra le varie, anche la resa dei conti all’interno del Pdl è una delle componenti della, per ora, proto crisi di governo. I ministri Pdl del governo Letta - ricordo - sono tutti già da tempo “diversamente berlusconiani”, almeno fin da quando, nel corso di alcune riunioni romane, avevano progettato “Italia Popolare”. Il movimento politico che aveva Berlusconi alle spalle e il Partito popolare europeo come prospettiva futura e casa comune con i centristi di Scelta civica.
Crisi o non crisi, Letta-bis con maggioranze multi color o governo di scopo per traghettarci alle elezioni, si vede all’orizzonte, comunque, un’offerta politica che sembra tornare al proporzionale (più partiti, almeno, nella medesima ipotetica alleanza) che riguarda il centro destra, ma che non esclude da tale modalità il centro sinistra.
L’accelerazione della crisi ha lasciato Renzi in silenzio con il cerino in mano, ed ha arricchito l’agone dei concorrenti alla segreteria del Pd con un nuovo contendente di peso: Enrico Letta. E data la morfologia del Partito democratico, la medesima provenienza culturale dei due non sembra renderli complementari nei ruoli di segretario e candidato presidente del Consiglio. Sarà guerra, chissà, forse scissione.
Certo è, poi, che un Berlusconi espunto dai centristi e dai riformisti diventa uno strano oggetto politico anche visto da destra. Anzi, potrebbe diventare un competitor non da poco per quella nostra destra che non è ancora stata capace di unirsi in un soggetto unico e formulare una proposta definitiva.
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