Caso Moro

Gli americani vollero morto lo statista italiano

Dopo anni di silenzio Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento Usa in materia di terrorismo, rilascia una scioccante intervista radio a Giovanni Minoli

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Gli americani vollero morto lo statista italiano

Dopo anni di silenzio prende la parola Steve Pieczenik, consulente del Dipartimento Usa in materia di terrorismo, che nel 1978 si occupò del caso Moro facendo parte del comitato di crisi imposto da Francesco Cossiga, a quei tempi ministro dell'Interno, durante il rapimento e l'uccisione dello statista democristiano da parte delle BR.

Alla trasmissione di Minoli Mix24, Pieczenick ha –decisamente- scioccato un po’ tutti per le affermazioni rilasciate alle domande del conduttore.

Ha detto che era in corso «una manipolazione strategica al fine di stabilizzare la situazione dell'Italia» in quel preciso periodo storico.

Racconta, e qui a molti verranno i brividi, di aver temuto che « Moro venisse alla fine rilasciato. Mi aspettavo che le Brigate Rosse si rendessero conto dell'errore che stavano commettendo - con il rapimento - e che liberassero Moro, mossa che avrebbe fatto fallire il mio piano. Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro».

Dopo le sconcertanti parole dell’ex consulente USA, la procura di Roma, per conto del PM Luca Palamara, ha disposto l’immediata acquisizione dell'intervista.

Il magistrato è il titolare di uno degli ultimi procedimenti inerenti il sequestro e l’assassinio di Moro.

Palamara vuole, adesso, interrogare personalmente Pieczenik e, nel caso, aprire una procedura di rogatoria internazionale.

In quei tragici momenti che anticipavano la morte dello statista DC, il comitato di crisi era formato oltre che dall’esperto americano, dal consulente per la difesa e la sicurezza Stefano Silvestri, dal criminologo Franco Ferracuti, dal giudice Renato Squillante e da una grafologa.

Palamara dovrà per forza di cose prendere in considerazione altre frasi di Pieczenik, come quella in cui dice « Ogni giorno, anche più volte, parlavo con Cossiga. Abbiamo passato insieme più di 40 giorni. Cossiga intuì subito che il problema non era solo legato alla "persona" Moro - ma che doveva affrontare una crisi di Stato, che avrebbe dovuto "stabilizzare" l'Italia. A un certo punto, per poter incidere in una situazione di crisi, sono stato costretto a sminuire la posizione e il valore dell'ostaggio, a Cossiga ho suggerito di screditare la posta in gioco fino a suggerirgli, di dire che quello delle lettere - le ultime soprattutto - non era il vero Aldo Moro».

L’ex consulente americano annullò, anzi consigliò a Cossiga di non considerare, la presa di posizione del Vaticano che pare avesse raccolto quasi dieci miliardi di lire, per pagare un eventuale riscatto.

Infatti, tiene a ribadire Pieczenik : «In quel momento stavamo chiudendo tutti i possibili canali attraverso cui Moro avrebbe potuto essere rilasciato. Non era per Aldo Moro in quanto uomo: la posta in gioco erano le Brigate rosse e il processo di destabilizzazione dell'Italia».

Importante anche una domanda di Minoli: «Quindi, lei fin dal primo giorno ha pensato e ha detto a Cossiga: Moro deve morire?».

La risposta «Per quanto mi riguarda, la cosa era evidente, Cossiga se ne rese conto solo nelle ultime settimane. Aldo Moro era il fulcro da sacrificare attorno al quale ruotava la salvezza dell'Italia».

Poi Minoli lo incalza su Bettino Craxi, il quale fece di tutto per aprire una trattativa con i sequestratori, e Pieczenick si lascia scappare un’altra inquietante testimonianza che prova molte ipotesi manifestate su Tangentopoli e il ruolo americano che facilitò la vicenda di Mani Pulite.

E’ questa: «Non mi preoccupai sul possibile ruolo di Craxi, era stato già neutralizzato, gli stavamo dietro da tempo. Avevamo il coltello dalla parte del manico, sapevamo qualcosa su di lui. Craxi era comunque compromesso, si era compromesso da solo».

La procura capitolina vuole inoltre acquisire -oltre a quanto sopra- un'intervista all'attrice Piera Degli Esposti, trasmessa dal Tg5, in cui ella riferisce di essere stata in via Caetani dalle 11.30 alle 13.30 del 9 maggio 1978, appoggiata, quasi sempre, alla Renault dov'era il cadavere di Moro, senza per altro accorgersene, e ammette che in quelle ore non arrivò nessuno.

Un senso di terrore, a questo punto, ci avvolge nel rileggere la lettera inviata da Moro a Zaccagnini in cui parla di 'forze estranee'.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da bea il 02/10/2013 11:37:10

    Mi mancano le parole... Gli americani sempre dietro le quinte - e non solo! veramente scioccante.

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