Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Come molti altri fascisti rivoluzionari, Marcello Gallian esprime nelle sue opere letterarie le inquietudini, le frustrazioni, ma anche le attese e le speranze che portano un marchio “di sinistra”. L’estremismo avanguardistico degli anni Venti si tramuta, pur conservando tutta la sua carica rivoluzionaria, in una “costruttiva” prosa neorealista negli anni Trenta[1]. Del resto, secondo l’indirizzo di Gallian e di vari camerati rossi, è finito il tempo della spontaneità creativa e anarchica ed è iniziato quello della “costruzione” della nuova cultura.
Esattamente come il suo avversario (ma solo formale) strapaesano Romano Bilenchi, il fasciorivoluzionario Gallian glorifica le azioni squadristiche dei primi anni Venti e invoca la fatidica seconda ondata. Quella ondata manganellatrice definitiva che spazzi via una volta per tutte la tanto odiata borghesia, nonché tutte le forze tradizionali a essa organiche o collaterali. L’azione sovvertitrice del neosquadrismo così descritta e auspicata da questo nuovo corso letterario servirebbe a portare il Regime fuori dalle secche del moderatismo.
Gallian e Bilenchi sono in ottima compagnia, con Pratolini, Vittorini e Berto Ricci, tutti accomunati dalla sete di giustizia sociale e dalle attitudini irrequiete. Accanto a loro, i letterati più anziani come Ottone Rosai, ardito, squadrista e autore de Il libro di un teppista e Dentro la guerra, oltre che strapaesano di ferro.
Gallian diventa anche collaboratore ordinario della terza pagina del Corriere della Sera, dove pubblica diversi racconti a cavallo tra prosa d’arte e novecentismo. Insomma, anche in un ambiente borghese come quello del Corriere, Marcello si esprime attraverso un registro rivoluzionario.
Gallian è un letterato consapevole del suo ruolo demiurgico e creatore di un’arte fascista. Arte che si ispiri alle imprese e ai miti dello squadrismo e che assurga ad araldo delle ansie e delle istanze intimamente rivoluzionarie dei giovani.
Squadrismo e letteratura rappresentano perciò gli strumenti della più vivida delle rivoluzioni; mezzi concreti di un sogno palingenetico che affonda le radici nel millenarismo cristiano dello scrittore e che toccherebbe agli squadristi e al Duce di realizzare.
Bassofondo, romanzo pubblicato nel ’36 da “Panorama” “sequestrato e ingiustamente e ridicolmente” (come da lettera dell’autore a Romano Bilenchi, 23 marzo 1936, Roma), ben tratteggia queste aspirazioni. L’opera è bloccata dalla censura prima di essere distribuita. Esce lo stesso anno ma con un titolo diverso: In fondo al quartiere[2]. Forse perché a un certo punto Gallian così si esprime: “quei romani in villeggiatura che mi ricordavano, in modo strano, costumi, regole, abitudini del 1918, ultimo anno del paradiso borghese”[3].
Critica in controluce, com’è eufemisticamente definita questa vera e propria condanna, è quella di questa e di altre opere gallianesi, dove spiccano figure di emarginati, di vagabondi, di reietti per nascita e vocazione. Molti di questi sono figli di borghesi che ripudiano la propria classe sociale, esattamente come l’autore.
A partire dagli anni Trenta la satira di Gallian non si esercita più semplicemente contro una borghesia astrattamente e genericamente intesa (il fatidico spirito borghese), bensì contro quella reale che si è affermata nell’Italia giolittiana prima e mussoliniana poi. Coerentemente con questo quadro, i personaggi più o meno emarginati dell’anarchico nero presentano connotazioni e comportamenti che si richiamano con estrema evidenza alla componente squadristica del fascismo primigenio. Come se, nell’ottica vitalistica e “massimalista” dello scrittore, spettasse proprio al buon vecchio radicale, selvaggio, “innocente” squadrismo il compito di ripristinare i diritti della natura sulla società, seppellendo per sempre la borghesia e il capitale, e recuperando finalmente il “paradiso perduto”.
L’eroe rappresentato da Gallian nelle sue opere è spesso “vagabondo”. Rifiuta la società e le sue leggi, il “lieto vivere” borghese, mentre ricerca l’imprevedibile, i rischi, le avventure[4]. Nel Combatteva un uomo il personaggio gallianiano è un istintivo, un riluttante del denaro e dello stile borghese, un fascista energico ma generoso, tutto teso alla distruzione della borghesia manganello alla mano[5].
Nella narrazione si ritrova spesso una ciclicità niciana. Lo svolgersi degli eventi non è lineare, ma ricorrente. Situazioni e avvenimenti si ripetono uguali a se stessi in maniera perpetua. Un vero e proprio “Eterno Ritorno”, che è lampante in Pugilatore di paese[6].
Nel ’39 scrive l’opuscolo Letteratura vitale fascista, sotto invito dell’Istituto di Cultura Fascista e dedicato a Mussolini[7]. Lo scritto è pervaso da un antiborghesismo di chiara fatta nazionalistica oltre che anticomunista. Parla infatti di “Borghesia comunista” e di “Stalin imperatore”, smentendo implicitamente tutte le voci (e non sono poche, negli ambienti conservatori e moderati) che descrivono l’autore come marxista internazionalista.
Più tardi su Pensiero Nazionale afferma che “[…] in un numero di ‘Roma fascista’ io fui accusato di comunismo, quando per più volte, in linea d’arte, mi battevo per un’unica affermazione, quella cioè che ogni uomo, in quanto nato, ha il diritto e il dovere di mangiare, di vestire e di dormire su un letto comunque, spregiando le paghe e catalogando il denaro come strema viltà del mondo”[8].
Negli ultimi anni del Regime i contributi di Gallian sono sempre più ridondanti e – purtroppo - ripetitivi. Fuori dagli schemi e decisamente degno di nota è però Il Ventennale. Gli uomini delle squadre nella rivoluzione delle camicie nere, volume compilato per il ventesimo anniversario della marcia su Roma[9]. Il Duce è spesso citato e descritto come squadrista e capo di tutti gli squadristi. Con una buona dose di ingenuità e un pizzico di retrogusto patetico, l’autore insiste nel dipingere Mussolini come il sansepolcrista socialistoide e anticapitalista del ’19. Nel capitolo Egli non è mutato si legge che sebbene “tutti tentano ogni mezzo per far sì che Mussolini riesca a dimenticare il 1919”, anno della fondazione dei Fasci di Combattimento, il Duce resti il rivoluzionario di sempre. Un auspicio, più che una convinzione[10].
[1] P. Buchignani, La rivoluzione in camicia nera. Dalle origini al 25 luglio 1943, Mondadori, Milano, 2006, p. 290.
[2] N. Trotta (a cura di), Ribellione e avanguardia fra le due guerre. I libri e le carte di Marcello Gallian, Università degli Studi di Pavia Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei, Pavia, 2008, p. 39.
[3] M. Gallian, Bassofondo, Panorama, Milano, 1935.
[4] P. Buchignani, Marcello Gallian. La battaglia antiborghese di un fascista anarchico, prefazione di Umberto Carpi, Bonacci editore, Roma, 1984, p. 38.
[5] Ibidem, p. 81.
[6] Ibidem, p. 41.
[7] M. Gallian, Letteratura vitale fascista, Prigiotti, Catania, 1939.
[8] M. Gallian, Schede di diario. Mussolini nei ritagli di tempo, in “Il Pensiero Nazionale”, n. 15, 1-15 ottobre 1958, p. 29.
[9] M. Gallian, Il Ventennale. Gli uomini delle squadre nella rivoluzione delle camicie nere, Azione letteraria italiana, Roma, 1941.
[10] P. Buchignani, Marcello Gallian. La battaglia antiborghese di un fascista anarchico, cit., pp. 72-74.
Inserito da piccolo il 30/10/2013 23:59:55
Marcello Gallian mi dà il destro per ricordare qui all'attento lettore di Totalità che vuole esplorare altri campi di prosa di valore un autore del medesimo nomen familiare: OTTO GALLIAN il soldato dell'impero austriaco. ha scritto un libro molto bello, e tradotto in italiano, sulla guerra intorno al Monte Asolone e sul Col Bonato. era un Viennese. ed è caduto tanti anni dopo, nel 44, nella battaglia delle Ardenne.