Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
entre scrivo, è appena stata confermata in Parlamento la fiducia al governo Letta e non è ancora chiaro il futuro del Popolo delle Libertà; ma non è di questo che intendo parlare oggi: me lo consente il mio status non già di cronista politico, bensì di libero commentatore.
Tale condizione giustifica, fra l’altro, il mio lungo silenzio nei confronti dei lettori di Totalità, un silenzio dettato essenzialmente dallo sconforto, a volte dalla nausea, in generale dalla constatazione della mancanza di vie d’uscita per la nostra sfortunata patria.
L’Italia è in balìa di una classe politica fra le peggiori della nostra storia; di un ceto imprenditoriale vessato sì da burocrazia e tasse, ma capace solo di delocalizzare e/o spremere le ormai asciutte mammelle dell’assistenza di Stato; di guerriglie continue fra poteri dello Stato e “poteri forti” – nazionali e internazionali – con una popolazione colpita sì dagli effetti di una crisi che non accenna a passare, ma anche incapace di una qualsivoglia reazione che non sia quella del rinchiudersi nel privato, pur devastato da mani pubbliche rapaci e timorosa di qualunque turbamento alla pur avvilente routine quotidiana.
Accennavo alla guerriglia: in effetti, quella con cui è venuta alla luce la “Seconda Repubblica” assomiglia più a una guerra che non ad una guerriglia, fatta di imboscate e ritirate, e oggi che una delle due parti ha perduto, il respiro dovrebbe essere più quello della storia che non quello della cronaca.
Quale sia la parte sconfitta è sotto gli occhi di tutti, e nessun “accanimento terapeutico” potrebbe cambiare questo dato di fatto: Silvio Berlusconi esce battuto e senza l’onore delle armi da questo ventennio, in cui il suo merito pressoché esclusivo è stato quello di aver assunto la rappresentanza di quella parte – maggioritaria – della nazione italiana, che rifiutava e rifiuta di essere governata dagli eredi del marxismo e dell’azionismo, e la sua autentica colpa quella di non aver saputo neppure avviare la promessa rivoluzione che pure gli aveva portato tanti consensi popolari.
Strano paese, il nostro, che archivia personaggi e fasi della sua storia con i bolli e il discredito delle sentenze, consegnando alla damnatio memoriae – a volte decretata anche sulla sola base del sospetto diffuso – i suoi principali governanti, da Giolitti a Mussolini, da Andreotti a Cossiga, da Craxi a Berlusconi, quasi che la stessa unità nazionale fosse nata all’insegna del crimine, pubblico o privato, poco importa.
Si sente dire che ora abbiamo un governo più forte: ecco una generosa – o disperata? - apertura di credito in bianco, se è vero che questo governo, fino ad oggi, ha governato poco, lasciando irrisolte tutte le questioni per le quali era sorto, sotto l’egida irrituale del Capo dello Stato. Intanto, il vulnus al centrodestra, già privato del suo Capo che fu carismatico, appare irrimediabile.
E adesso? Che ne sarà dei milioni di italiani disorientati e privi di un polo politico di riferimento, con l’eclissi, il disfacimento, il trasformismo di tanta parte del centrodestra? Ci aspetta un futuro immediato di perduranti incertezze e, quanto alle prospettive elettorali – non sappiamo quanto prossime – all’orizzonte si profila un ulteriore inquietante incremento dell’astensionismo e del voto di protesta marca “Cinque Stelle”. Dei partitini di destra, non vale neppure la pena di parlare, tanto si sono persi fra le avvilenti beghe di bottega, lo sventolio di vessilli beceri, l’incapacità – al pari di tutta la classe politica - di elaborare grandi progetti e, perché no?, di cullare nobili utopie.
Si parla e si straparla di “stabilità”, e nel nome di questo totem, invocato e imposto dai famigerati “Mercati”, si inducono decisioni pubbliche e tradimenti anche privati; ma nessuno mette in evidenza con le dovute argomentazioni che la stabilità è una condizione pre-politica e che senza un valido progetto -politico, appunto - essa rischia di trasformarsi in una camicia di forza, in un tirare a campare, in un tamponare le emergenze, insomma nella conservazione dell’esistente, fuori dalla storia europea e mondiale.
Ho detto conservazione, e mai vocabolo subì un simile deterioramento semantico: siamo passati dall’aristocrazia di un pensiero che va, per restare a un recente passato, da un Burke a un Donoso Cortes a un Solaro della Margarita, fino a un Goldwater e a un Del Noce, alla prassi di un egoismo simboleggiato principalmente da certe miopie sindacali.
Si parla e si straparla di moderati, ma anche in questo caso si pone l’accento su di un modo di essere e di esprimersi, indipendentemente dalle idee che si dovrebbero inverare nella prassi politica non solo quotidiana.
Cosa dovrebbero volere questi benedetti “moderati”? Lavorare in santa pace, coltivare la famiglia, educare i figli al riparo, per quanto possibile, dai pericoli del mondo, dialogare – nei limiti della buona creanza, s’intende – anche con tutti i portatori di ogni forma di diversità (sessuale, religiosa, etnica, politica)? Può mai essere questo il manifesto di un qualunque partito, nel momento in cui il pianeta ribolle di cambiamenti?
Si parla e si straparla di centrodestra: quanto al centro, specie in queste ore si profila un certo qual ritorno della balena democristiana; ma la destra dov’è, e cosa propone? Quali ne sono i leader e i “maestri del pensiero”, quali i valori condivisi da questo popolo di cui si postula la sussistenza non solo elettorale? Cosa si vuole “conservare”, a cosa si vuole “reagire” (altra parola impronunciabile: reazionario!), cosa si vuole costruire, insieme? Tutte questioni che sembrano porre l’esigenza di un manifesto, senza dimenticare che troppo spesso ci si è confrontati – e forse era inevitabile – al livello di élites (e ci perdoni Pareto…), senza tener conto di coloro che sono poi chiamati a testimoniare il loro consenso, magari nelle occasioni referendarie…
Che cosa vorrà questo “popolo di destra”, oscillante fra le tentazioni liberali e i mali di pancia anti-immigrazione, fra l’insofferenza per la burocrazia europea e la sostanziale acquiescenza ai timori alimentati dai “mercati”, fra gli osanna ai beni pubblici – si pensi al referendum-truffa sull’acqua – e l’ostinata difesa del proprio particulare, fra la speranza riposta nelle grandi opere e la volontà di dislocarle lontano da casa, e così via. A questi e ad altri dilemmi ciascuno di noi dovrebbe dare una riposta chiara e coerente.
Comunque, si è aperta una nuova fase, con tutte le sollecitazioni della “novità”, che ancora una volta inducono chi non vuole arrendersi ad assumere l’ottimismo della volontà, senza disconoscere il pessimismo della ragione e senza nascondersi che se c’è qualcosa da “conservare”, c’è molto di fronte a cui reagire.
Inserito da L'utopista il 05/10/2013 15:16:46
Diceva un grande personaggio italiano ed in particolare abbruzzese, Enio Flaiano, "La situazione e drammatica ma non seria". E' esattamente quello che è successo nei giorni scorsi al Senato. Berlusconi ha perso all'ultimo minuto la possibilità di far nascere in Italia una vera destra all'orquando ha deciso il passo indietro sulla fiducia al Governo. Una Destra rivoluzionaria perchè antisistema che ha come programma la revisione in senso presidenzialista della Costituzione, il rafforzamento dello Stato nei confronti delle autonomie locali attraverso il ripristino del suo controllo sui loro atti (CORECO, Comm.rio governativo ecc:), la rinegoziazione dei trattati europei con l'uscita dall'euro e la partecipazione solo ad un'Europa commerciale e non politica, l'attuazione del principio secondo il quale i servizi li forniscono i privati tranne alcuni,ben individuati, di competenza pubblica, l'abbattimento della spesa pubblica e conseguente abbassamento delle imposte, la difesa della famiglia intesa come unione di uomo e donna ed eventualmente figli, il rifiuto di una società iper-multiraziale e si potrebbe continuare ancora a lungo. Questa nuova destra avrebbe avuto un nocciolo duro del 20% dei voti con la possibilità di qui a breve di essere maggioritaria in Italia. Una vera rivoluzione liberale, che purtoppo è morta ancora una volta nella culla.
Inserito da L'Utopista il 05/10/2013 14:58:51
prova messaggio
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