Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Se Alberto Sordi fosse ancora vivo ne avrebbe sicuramente fatto un personaggio di uno dei suoi quadri naif cinematografici. Perché nella parola terrena di don Verzè, scomparso a Milano all’età di 91 anni – quella spirituale è di stretta competenza di nostro Signore, per chi crede ovviamente – c’è tutto il tratto dell’italico ingegno, della furbesca italianità che non stacca sino in fondo i piedi da terra, ma sa volare in alto.
E don Verzè, come un Icaro con l’abito sacerdotale, non ha solo volato in alto, ha sfiorato il cielo con un dito. E proprio perché è andato troppo in sù, ad un certo punto, deve aver perso di vista ciò che accadeva quaggiù, dove noi umili terreni senza ali e senza jet per sfiorare il cielo, ci danniamo l’anima per non doverla vendere al Diavolo, al quale vorremmo consegnare chi ci sta regalando un deficit di futuro.
Un deficit enorme, come quello del San Raffaele, la clinica fondata dal Don e oggi al centro di una complessa vicenda giuridico finanziaria. Ma questa, si sa, è un’altra storia. La storia che avrebbe raccontato Sordi, invece, sarebbe stata quella di un miracolo italiano laico, dove la fede non c’entra nulla, se non per il fatto di aver reso un interesse altissimo a colui che ha saputo mettere insieme affari e crocifisso, male e bene, il Diavolo e l’acqua Santa. La grisaglia grigia e il collare del Don, il portafoglio sul cuore e il crocifisso sul petto.
Don Verzè , per un lungo tratto della sua parabola terrena, è stato questo ed altro. Nessun giudizio, sia chiaro, nessuna condanna o assoluzione, nel giorno in cui il Don lascia sulla terra il suo corpo e riconsegna a Dio la sua Anima, unico titolato ad emettere un verdetto, ma una serena considerazione sì. Quella ci sia concessa, perché proprio nel giorno della sua scomparsa, si è svolto uno degli appuntamenti cruciali della crisi finanziaria del San Raffaele. Scadeva infatti, a mezzogiorno, il termine per presentare un'offerta migliorativa di acquisto, per l’istituto sanitario, di almeno 50 milioni di euro rispetto ai 250 milioni messi sul piatto dal cordata Ior-Malacalza.
Il gruppo ospedaliero San Donato di Giuseppe Rotelli è sceso in campo per il salvataggio. L’imprenditore avrebbe presentato un’offerta da 300 milioni. Non è arrivata invece l’offerta del gruppo Humanitas. Insomma anche nel finale Don Verzè è stato altezza della sua storia, di un film di Sordi. Forse ha davvero voluto portare con sé storia e segreti, conti cifrati e finanziamenti occulti.
Ma di tutto questo ben di Dio, adesso cosa resterà? La struttura del San Raffaele, dal punto di vista clinico, è una delle eccellenze del nostro Paese e non possono essere i malati a pagare il prezzo degli enormi costi sostenuti dalla Fondazione Tabor, quella che controlla il San Raffaele, per soddisfare i bisogni terreni del Don. Bisogni di ogni tipo, dal potere, al rapporto con il potere, quello politico, passando per lo scontro con il potere ecclesiastico.
Ecco, quando si dice poteri forti, Don Verzè ne era una sorta di crocevia, un anello scambiatore. Troppi interessi, troppi soldi ruotavano attorno a lui per non destare sospetti. Certo, sarà la storia a dire se i suoi contatti con Bettino Craxi prima e Silvio Berlusconi dopo siano stati inquinati dal quel fiume di soldi che scorreva accanto al San Raffaele. L’ultima inchiesta realizzata da Milena Gabanelli, la conduttrice di Report su Rai Tre, aveva sollevato solo un lembo del velo che copre ancora tutta la vicenda, ma non aveva disvelato l’arcano. Per quello ci verrà tempo. Molto tempo, forse. Perché come in molti film di Sordi il finale è agrodolce, con un retrogusto amaro però. Impastato con quella tipica cifra che ha fatto di questo Paese una terra dove tutto finisce e ricomincia il giorno dopo, anche se Don Verzè si è fermato un attimo prima. Il ciak sulla verità , insomma non è arrivato.
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