Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
i dice che i viaggi aprano la mente, che favoriscano gli scambi di idee e di esperienze con popoli lontani e comunque diversi, che aiutino a interpretare anche la realtà dei paesi di provenienza dei viaggiatori. Come tutto questo sia vero, ho avuto modo di constatarlo, una volta di più, in occasione del mio recente viaggio in Turchia. Sia chiaro: non ho la presunzione di tratteggiare e diffondere un ritratto attendibile ed esauriente di un paese complesso e contraddittorio come quello che fu al centro di un grande impero multietnico e che oggi, dopo decenni di eclisse dalla grande scena politica, torna alla ribalta come potenza regionale emergente; qui mi limiterò ad esprimere alcune suggestioni e sensazioni, forse utili anche per comprendere meglio l’attuale fase che sta attraversando l’Italia.
Cominciamo con una constatazione forse banale, ma non per questo meno inconfutabile: nel territorio fra la Tracia e il Monte Ararat, fra il Mar Nero e il Mediterraneo, insomma in quella che fu l’Asia Minore, si trova una delle culle della civiltà del nostro continente (anche se i tanti che avversano l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea sembrano volersene dimenticare). Basterà ricordare che su queste sponde si è combattuta la guerra di Troia, ispiratrice dell’epos omerico; che su queste vette approdò l’arca di Noè dopo il Diluvio; che in queste città nacquero Paolo e una schiera di Santi fondamentali nella storia della Chiesa; che in questa terra abitarono Maria e Giovanni l’Evangelista; che le coste e l’interno roccioso della penisola anatolica sono costellati di templi, anfiteatri, ponti di epoca romana; che sulle rive del Bosforo sorse la Seconda Roma e si tennero i primi, cruciali Concili della Chiesa, per la quale qui – ad Antiochia – fu usato per la prima volta l’appellativo di “cristiana”..
Suggestioni, dicevo; e le prime, ovviamente, si propongono al viaggiatore fin dall’atterraggio all’aeroporto di Istanbul, intitolato a Kemal Atatürk, padre della modernizzazione – anche attraverso la laicizzazione – del paese. Lo scalo appare degno di una grande capitale, nelle sue strutture, nei negozi, nell’efficienza dei servizi – quali, ad esempio, presiede la riconsegna dei bagagli – e nell’imponente flusso di taxi alle uscite. La superstrada che conduce alla città presenta un traffico intenso, ma scorrevole, a differenza di quello in cui si incapperà nelle strade cittadine: del resto, non bisogna dimenticare che siamo in una megalopoli con oltre 16 milioni di abitanti…
Chi però, come me, fosse già stato a Istanbul negli anni passati, si troverebbe di fronte ad alcuni segnali di cambiamento da non trascurare: intanto, appare in visibile aumento il numero delle donne velate, come impone il costume islamico, e ciò a dispetto del divieto formale introdotto con la rivoluzione laica di Atatürk e tuttora in vigore; desta poi sorpresa la constatazione di un parco auto fortemente rinnovato, rispetto ai ricordi di chi aveva notato, solo pochi anni addietro, carrozzerie ammaccate e arrugginite e marmitte fumanti; gli edifici, almeno quelli del vasto centro, – sia quelli privati che quelli pubblici, fino ai monumenti – denotano estrema cura nella manutenzione, mentre sono in corso importanti progetti di ampliamento della rete metropolitana (anche mediante lo scavo di un tunnel che passerà sotto il Bosforo e il Corno d’Oro, per collegare la parte asiatica con quella europea di Istanbul). Ancora: le vetrine dei negozi sono arredate con gusto e le strade affollate di giovani (ma questa non è una sorpresa: si sa che la Turchia, a differenza dell’Italia, è un paese di giovani…); quello che invece stupisce e lascia l’amaro in bocca a chi, come me, vive a Roma, è lo stato di vie e piazze: di una pulizia svizzera, grazie all’opera capillare di numerosi e attivi “operatori ecologici” (leggi: spazzini), ma forse anche al civismo di tanti abitanti e turisti (è penoso ricordare che Roma è almeno quattro volte meno popolosa di Istanbul, che è altrettanto soggetta a orde di turisti). Quanto alle buche, non ne abbiamo trovata una, neppure nel tracciato delle migliaia di kilometri percorsi all’interno del paese, lungo superstrade perfettamente asfaltate e scorrevoli
Certo, anche qui la politica conosce fermenti – e perfino disordini, come quelli recenti in piazza Taksim – derivanti dalle specificità storiche e culturali della repubblica turca, dove la pratica della democrazia “occidentale” è una recente acquisizione, dove la casta militare è ancora molto forte, dove da anni è al governo un partito “confessionale”, costantemente impegnato nel mediare – sia all’interno che nei rapporti con i vicini – tra militari, forze del rinnovamento di ispirazione occidentale ed esponenti dell’estremismo islamico. Su questa linea, che a tratti ha potuto sembrare ondivaga, si colloca la questione dell’inserimento nell’Unione Europea, un dossier appena riaperto che, a nostro avviso, non può che sfociare in un esito positivo, alla luce non solo del passato, ma anche delle prospettive sia dell’Europa che della stessa Turchia.
Sta di fatto che agli occhi del viaggiatore – come confermato nei colloqui intrattenuti con vari interlocutori, fra i quali giovani professionisti italiani che qui lavorano, ad alto livello, in aziende manifatturiere e in banche d’affari – la Turchia appare come un paese in fase di forte sviluppo, pur sullo sfondo di una crisi internazionale dura a morire e, soprattutto, con grandi margini di crescita. Lo hanno ben compreso partners commerciali avveduti e lungimiranti come i cinesi e, soprattutto, i russi, ben presenti su lunghi e strategici tratti della “costa turchese” con insediamenti e investimenti ingenti; così come lo hanno ben compreso molte multinazionali – ad esempio nel settore dell’auto – che qui hanno impiantato numerose, nuovissime fabbriche (ne abbiamo visto una della Fiat nei pressi di Urfa, città di un milione di abitanti, a poche decine di kilometri dal confine siriano). E’ poi appena il caso di notare che, a fronte di una schiacciante supremazia dell’Islam, sia pure, lo abbiamo detto, in un contesto legislativo di laicità, manca qualsivoglia limitazione o pressione nei confronti delle minoranze religiose, a partire da quella cattolica, che conta poche centinaia di migliaia di fedeli. Noi stessi abbiamo potuto assistere ad una messa celebrata all’aperto, fra i ruderi di Efeso, dall’Arcivescovo Franceschini, titolare dell’Arcidiocesi di Smirne; senza dimenticare che due delle principali basiliche cattoliche di Istanbul (rispettivamente dedicate alla Vergine Maria e a S. Antonio) si trovano sulla principale arteria – pedonalizzata – dell’elegante quartiere di Beyoglu.
Certo, i problemi non mancano – del resto, come dovunque nel mondo - ma continuare ad avere paura del “turco”, sarebbe un drammatico errore per l’Europa e per l’Italia.
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