Editoriale

Il pensiero unico nella politica e il tradimento delle parole

Siamo nella civiltà dell’immagine e quel che conta è l’immediato e soprattutto non ci vuol nulla a passare dall’Osanna al Crucifige

Domenico Del Nero

di Domenico Del Nero

in atto ormai da tempo, ma il suo fetore sta diventando sempre più insopportabile: è l’epidemia di politically correct che da un pezzo sta appestando l’Italia e l’Europa.

C’è un inquietate e delirante – nella sua assurdità – postulato in tutto ciò: che il bene stia tutto da una parte sola, sempre e comunque.

Crociate? Inquisizione? Anche a credere alle peggiori (e in buona parte inventate) leggende nere sull’argomento, diventano uno scherzo da nulla difronte a un atteggiamento che grazie ai nuovi media, è in grado di costruire gigantesche gogne in confronto alle quali quelle in legno dei secoli passati diventano davvero un innocuo gioco da ragazzi: non si accontentano di umiliare l’avversario: lo vogliono al bando dal consorzio civile e umano, una sorta di incrocio tra un paria, uno yeti e uno zombie. E invece di verdura marcia o escrementi (che senz’altro non sono il massimo ma almeno si possono detergere) gettano addosso alla malcapitata vittima un fango indelebile, peggio delle mitiche stalle di Augia; per non arrestarsi neppure difronte alla morte, perché l’esistenza nel web può tranquillamente prolungarsi oltre quella biologica, sul modello di una bolgia infernale.

Non solo: da quando Bergoglio è asceso al soglio pontificio, il suo stile un po’ sciatto da buon parroco di periferia ha mandato in visibilio tutte le aspiranti perpetue e sacrestane, comprese quelle laicissime e laiciste che al posto di novene o rosari recitano per solito devotamente gli editoriali di Repubblica: tutti novelle Giovanne d’Arco, che però sul rogo ci spediscono gli altri, ovvero chi si permetta di nutrire anche la pur minima perplessità sull’attuale pontefice; e  questo ovviamente, per quanto riguarda le pitonesse laiche, in difesa  non del papa o tantomeno della Chiesa, ma di Bergoglio, nella speranza che certe sue esternazioni ed esortazioni possano finalmente dare un contributo decisivo a distruggere l’infame, ovvero la Chiesa cattolica. Un papa volterriano va oltre le più rosee speranza dei più rosati salotti, poco importa poi quanto tali speranze siano o meno fondate.  Siamo nella civiltà dell’immagine e quel che conta è l’immediato e soprattutto non ci vuol nulla a passare dall’Osanna al Crucifige: ci riuscirono con quel sant’uomo di Pio IX, che certo  aveva fatto assai meno di Francesco per farsi fraintendere come fu frainteso, figuriamoci con i potenti mezzi di oggi! E non parliamo poi, in campo cattolico, del nuovo esercito di beghine e begardi pronti ad andare in estasi anche per uno starnuto del  Santo Padre e ad armarsi di forcone e roncola contro chiunque osi tossicchiare un po’ imbarazzato; gli stessi zeloti che, ai tempi di Ratzinger, non esitavano a sputacchiare  a ogni parola del Papa.

Proprio così. Il compagno topo rosso, come recitava una divertente canzone di  Fabrizio Marzi, s’è fatto furbo, grazie anche alla assoluta latitanza, ma soprattutto al più abissale e profondo disinteresse della cosiddetta destra in campo culturale. Dalla cellula e dalla parrocchietta, dal fare il rivoluzionario  tutto sezione e magari sacrestia  si è incistato nei salotti buoni, nella redazioni che contano, nelle case editrici più alla moda, rosicando nel corso degli anni quello che la coscienza comune, il senso critico e la civiltà occidentale (e perché no, diciamolo: cristiana!) avevano impiegato secoli a costruire, pur con tutti gli errori e gli orrori che inevitabilmente si accompagnano alla condizione umana; ma anche con gli splendori e le grandezze i cui ultimi bagliori rischiano di sparire per sempre. Così, l’abile circolazione di parole d’ordine quali il sempre efficacissimo “fascista” in campo politico e sociale,” revisionista” in quello storico culturale e “tradizionalista” (o meglio ancora, orrore degli orrori, lefevriano)  in campo cattolico  ha fatto in modo che tali vocaboli diventassero efficacissime museruole per condannare al silenzio perpetuo chiunque osasse anche una timida parola di dissenso.   Del resto, non sono poi lontanissimi i tempi in cui solo leggere “il Giornale” era sicuro viatico per una patente di fascista.

Ma oggi la situazione è per molti aspetti assai peggiore. Un tempo certe faziosità si spiegavano (anche se questo non significa certo giustificarle) con il clima di esasperazione del confronto politico, certamente alimentato da chi aveva interesse a mantenere lo statu quo: gli “anni di piombo, per l’appunto.  E’ bene comunque ricordare come certi “barbassori” si distinsero per una faziosità allucinante che non si arrestava neppure davanti alla morte:  basta ricordare due nomi sin troppo significativi, il ragazzo di destra Sergio Ramelli, assassinato in seguito a un vile agguato , e il commissario Luigi Calabresi,  linciato prima sulla stampa  dai “maestrini con la penna rossa, come Umberto Eco e Dario Fo e poi barbaramente assassinato.

Tempi remoti ma che contribuiscono per molti aspetti a spiegare i nuovi assalti di oggi: imporre un pensiero unico e totalizzante, riducendo al silenzio ogni forma di “deviazione”, qualsiasi forma assuma.

Iniziative come la proposta di legge contro l’omofobia (il cosiddetto DDL Scalfarotto)  e quella di “criminalizzare” chiunque osi porre in discussione la Shoah vanno chiaramente in questa direzione. Si noti che entrambe partono da un principio del tutto condivisibile: punire la violenza contro una determinata categoria di persone e tutelare il ricordo di una pagina storica che, comunque la si consideri, è stata senza alcuna ombra di dubbio ignobile; non per nulla lo ha riconosciuto persino il capitano Priebke, che se negava l’esistenza dei campi di sterminio, non per questo ha messo in discussione l’esistenza della persecuzione contro gli Ebrei o ne ha tentato la pur minima difesa.   Certo, che gli omosessuali non vadano né picchiati né discriminati è cosa talmente ovvia che non dovrebbe essere necessario una legge speciale per questo: basterebbe applicare e se mai inasprire le pene contro qualsiasi tipo di violenza, contro chiunque venga esercitata.  Ma il vero scopo della proposta non è certo questo, ma semplicemente di colpire chiunque non si dichiari “gay friendly” , dal momento che persino il sollevare perplessità (più che legittime) sull’idea stessa di “matrimonio omosessuale” con relativo corollario di adozioni potrebbe esser passato per crimine passabile di “rieducazione” (si spera non sessuale, almeno!) e allora sorge il sospetto più che legittimo che uno degli obiettivi di questa manovra sia un attentato contro la famiglia “tradizionale”, che per quanto indebolita e “demodè”  rimane pur sempre un bastione difficile da espugnare.  E che dire poi dell’idea di “sostituire” i termini madre e padre (fascisti pure quelli?) con quelli più asettici e politicamente corretti di genitore 1 e 2 (e se c’è un sospetto di corna che si fa? E se c’è un utero in affitto? Si introduce il terzo incomodo?)

Ancor peggio, per certi aspetti, la proposta di introdurre il reato di “negazionismo”, applaudito in primis proprio da un negazionista in piena regola, ovvero l’esimio presidente Napolitano. Sarà l’età o la cattiva coscienza (posto che ne abbia una) ma il “rosso antico” dimentica che fu proprio lui uno dei più zelanti negatori certo non della Shoah, ma di un altro olocausto altrettanto infame e vergognoso: quello della rivolta d’Ungheria del 1956, operato dai suoi allora amici sovietici.   A dir la verità, tale proposta  non dovrebbe stupirci più di tanto: è reato, anche se non ufficiale, tentare di rimettere in discussione il cosiddetto Risorgimento (che quanto a stragi e orrori, soprattutto nell’allora florido regno delle Due Sicilie, non fu secondo a nessuno), figuriamoci andare a toccare l’Olocausto.  Ma come ribadito da illustri storici, studiosi e uomini di cultura di diversa estrazione e posizione, la storia è revisione continua.  Alla cultura si ribatte con le idee, non con le manette: soprattutto se e quando si è sicuri delle proprie posizioni. Altrimenti nasce il  fondato sospetto che certe “vulgate”, giuste, sbagliate o eccessive che possano essere siano intoccabili a prescindere ….

E per tornare all’ecclesiasticamente corretto: Francesco sarà anche buono, alla mano, disponibile al dialogo persino con Scalfari (ma del resto San Francesco non parlava anche con gli animali?); ma guai a sottrarsi, a porre in discussione il bel quadretto agiografico, a trovare qualche ratto o qualche piattola in questo nuovo presepio di armonia e gioia magari un po’ fricchettona, ma tanto “ecumenica." Ne sanno qualcosa due giornalisti cattolici, Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, prontamente epurati da Radio Maria dove da circa dieci conducevano un programma di bioetica molto seguito e apprezzato.  Il crimine è proprio “leso Bergoglio”; per avere espresso in un fondo sul Foglio alcune riserve sul nuovo pontificato, pur senza mancare di rispetto o mettere in discussione la figura del Papa (nulla di neppure lontanamente paragonabile a certi attacchi contro Benedetto XVI da varie latitudini), avevano sollevato qualche perplessità su certe affermazioni, come quella per cui , se certo è vero che il Cristianesimo come religione universale è aperta a tutti, mettere esattamente sullo stesso piano credenti e  parlare di “primato della coscienza”  è senz’altro un’ottima scorciatoia per quel relativismo che il suo predecessore aveva condannato.

Ma  se è vero che l’iniziativa dell’epurazione è tutta dello zelantissimo direttore di Radio Maria, il silenzio di Francesco  su questa questione è stato assoluto, anzi forse, sia pure indirettamente, il pontefice ha persino rincarato la dose con la sua polemica contro gli “specialisti del Logos”.  Evidentemente la misericordia del Santo Padre riguarda solo i nemici della Chiesa, gli zelatori del relativismo, coloro che hanno sempre visto il cristianesimo come il grande nemico. I difensori della fede invece, quando sono scomodi e rifiutano il ruolo di yes man, diventano scomodi. E’ vero che il Vangelo parla di pecore, ma da nessuna parte dice che bisogna essere pecoroni. Anzi …

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

    2 commenti per questo articolo

  • Inserito da saldigua il 27/10/2013 12:29:53

    MAGNIFICO ARTICOLO !!! A proposito di risorgimento: possiamo parlare senza essere bruciati vivi in pubblica piazza della fine di soldati dell'esercito borbonico ? Delle carceri/campi di sterminio sui monti del Piemonte dove morirono a migliaia per fame e freddo? Dei più fortunati che per non finire in galera scelsero d'andare "volontari" a combattere nella guerra civile americana ? Di quelli che andarono a combattere per il sud nella "Garibaldi's Guard" (destino beffardo)ne tornò uno solo: Salvatore Ferri da Licata. Salvatore Di Guardo

  • Inserito da Helmut Leftbuster il 25/10/2013 18:57:55

    Impeccabile come sempre, Domenico. Il relativismo culturale mondialista non si sta spingendo nella Chiesa, ma se ne è impadronito. L'unica speranza è che le singole pecore del gregge se ne accorgano per tempo, non solo nell'interesse della propria anima, ma, data l'eccezionalità dell'abbrutimento inculturazionista in corso, soprattutto nell'interesse della propria incolumità. http://aristocraziaduracruxiana.wordpress.com/2010/01/07/guelfi-comunisti-pasticciati-no-global/

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.