Gli ulivi di 'Amer

E’ notte nel villaggio di Kufr Qaddum, una notte di settembre

Due volte per entrare nella sua terra, due volte, due permessi, due momenti, uno per la concimazione l'altro per la raccolta

di Marika Guerrini

E’ notte nel villaggio di Kufr Qaddum, una notte di settembre

E’ notte nel villaggio di Kufr Qaddum, una notte di settembre. E nel sonno della notte è immersa la casa di Abd al-Karim Amer. E durante lo stesso sonno, bagliori altalenanti hanno preso a dipingere le mura esterne di rosso arancio come da fiamma, mentre nuvole di fumo s'univano al crepitio di legna arsa. Fumo denso, odoroso di foglie, di frutti. Odoroso di olio caldo, verde, come da frutti a un passo dalla maturazione. Sì, sono alberi a bruciare laggiù, oltre la linea di quel confine confiscato, abusivo, quel confine che 'Amer può attraversare due volte l'anno, solo due, previo permesso concordato con l'esercito di altra gente. 

Due volte per entrare nella sua terra, due volte, due permessi, due momenti, uno per la concimazione l'altro per la raccolta. Sono ulivi quella notte a bruciare, una trentina di ulivi in buona età di resa, tra i 40 e i 45 anni, sono tanti. E tanti sono i più giovani, quelli di tre anni, una settantina, frantumati, tutti, tutti ridotti a pezzi di tronchi, di rami. " Forse sono stati rotti prima, dice 'Amer, prima dell'incendio di questa notte", ma non può esserne certo. 
E' adiacente all'insediamento di Qedumin, l'appezzamento di 'Amer, quel suo pezzo di terra in cui può entrare due volte l'anno, in cui i coloni possono entrare sempre. Anno dopo anno da anni questo accade, e ogni anno è poco prima del raccolto e ogni anno sono un tot numero di piante. E non accade solo ad 'Amer. E non accade solo nel villaggio di Kufr Qaddum. Accade ovunque i palestinesi vengano a contatto con i coloni israeliani. Ogni giorno ogni notte ogni sempre. Sono storie quotidiane, queste. Storie che tutti conosciamo, di cui sappiamo. Storie che raccontiamo proprio per questo.
Le centinaia di 'Amer hanno rinunciato alla denuncia al reclamo, hanno rinunciato a proteggere le loro cose le loro case, tutto, a volte persino se stessi. La risposta israeliana è la stessa, sempre: negazione della verità, quando va bene, arresto o uccisione quando non va. 

E spesso non va. I coloni sono armati, tutti, sempre. I coloni hanno il sostegno dell'esercito israeliano, tutti, sempre. Tutti sempre come noi che sappiamo e voltiamo lo sguardo, turiamo le orecchie.
Ma non è, come andiamo dicendo, questione di strisce di Gaza, di linee di confine, di abusivismo legalizzato, di prepotenza arroganza delinquenza, no, non è neppure questione di profitto economico, benché ci sia, e non è questione di coloni, no, è questione di costume. E' il costume d'una fetta dell'umanità che persevera in comportamenti tribali. 
E allora si bruciano gli ulivi, si occupano case, si confiscano terre, si chiudono sorgenti d'acqua quando non si fanno essiccare, si distruggono raccolti, si spara ad altezza d'uomo tra la folla dei mercati palestinesi. E allora si azionano bulldozer a demolire edifici d'ogni tipo, residenziali e non, negozi, abitazioni nel cuore di Gerusalemme, in ogni sua zona, lasciando all'addiaccio intere famiglie, portando via loro tutto. 

Duecento ordini di demolizione, proprietà palestinesi, tutte, sedicimila cittadini coinvolti, contando solo a Gerusalemme. Contando solo nello scorso mese di ottobre. 
E allora si occupano moschee, come quella di al-Aqsa per costruire al suo interno una sinagoga, secondo un recente piano israeliano e si approvano leggi come fatto dal Ministero per gli Affari Religiosi Israeliani, secondo cui si consente agli ebrei di pregare all'interno della moschea. E allora si fa deviare la costruzione del muro sulla Linea Verde, ricordate, 1948 il concordato, si fa deviare per un giacimento di petrolio scoperto che è poco. Deviare perché giacimento su territorio di entrambi, Israele e Palestina, si fa deviare sì da escludere quest'ultima, questo Stato che esiste senza per il mondo esistere. Il mondo che tace la quotidianità e finge di lavorare per un incontro che non ci sarà perché non si vuole sia. E nel frattempo che il mondo, come avvezzo a fare, finge, laggiù gli ulivi bruciano con il raccolto la speranza la vita mentre si continua ad arrestare bambini e ragazzi per lancio di pietre, come da resoconto mensile, ottobre, del Centro Informazioni di Wadi Hilweh e Silwan: 45 bambini e ragazzini tra i 10 e i 17 anni.  

Quando con il fucile non gli si mira al cuore.
Sì, comportamenti da vecchio testamento. Senza luce né speranza di. La vecchia goccia che non s'arresta fin tanto che la roccia non sia resa cava. Come a dire: ogni giorno ti spingo più in là, ti rendo la vita impossibile, finché fiaccato sarai stanco di perdere di piangere di soffrire di morire, sarai stanco persino di vivere e quel che è tuo sarà mio.

Piaciuto questo Articolo? Condividilo...

    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Crispino il 13/11/2013 11:21:37

    Puntuale e bellissimo questo reportage. Ma la gente è frastornata da "verità" contrapposte e preferisce non vedere. Anche perchè , vedendo , l'Italia e l'Europa tutta si ricorderebbero della loro frustrante impotenza.

Inserisci un Commento

Nickname (richiesto)
Email (non pubblicata, richiesta) *
Website (non pubblicato, facoltativo)
Capc

inserisci il codice

Inserendo il commento dichiaro di aver letto l'informativa privacy di questo sito ed averne accettate le condizioni.