Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
lanciare l’idea è stato Vittorio Feltri, che, scandali e conti alla mano, non si è lasciato scappare la provocazione, chiedendo, su “il Giornale”, di abolire le regioni, perché costano troppo, sono oggettivamente dannose, sono una fonte di sperperi, in mano ad una casta di “furfantelli” affamati del denaro pubblico.
L’ultimo scandalo (per fatturazioni fasulle) viene dalla Regione Piemonte del “governatore” leghista Roberto Cota. Ma il fenomeno è diffuso a macchia d’olio. «Prima di loro – scrive Feltri – si sono distinti i fetenti della Regione Lazio sfuggiti al controllo della presidente Renata Polverini, la quale, poi, data la propria cecità, è stata gratificata con una poltrona in Parlamento. E sorvoliamo sui Franco Fiorito e sui suoi epigoni sparsi in varie parti d’Italia».
Nell’ottobre scorso è toccato ai consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna che chiedevano il rimborso per ogni singola spesa (compresi asciugacapelli, toilette e caffè). Ora “Il Tempo” riporta che nel mirino della Procura di Rieti sono finiti, per falso e peculato, anche tre esponenti del Partito Democratico alla Regione Lazio: gli indagati avrebbero alterato le fatture per aumentare i rimborsi o per ottenere pagamenti indebiti.
Perfino un presidente di Regione, il campano Stefano Caldoro, condivide la provocazione di Feltri e rilancia: le Regioni – dice – «sono un lusso che non possiamo permetterci».
Ergo: iniziamo a “svuotarle” di competenze, tornando allo “spirito della Costituzione” che vedeva come compito principale di questi enti territoriali quello della programmazione e pianificazione, non certo della gestione delle risorse.
Dalla piazza genovese Beppe Grillo arriva ad ipotizzare perfino un referendum per – testuale – “toglierci dai coglioni le Regioni”. Difficile ipotizzare la costituzionalità di un siffatto quesito referendario, un dato comunque è certo: nell’opinione pubblica sta crescendo, dopo gli anni dell’infatuazione federalista, una certa repulsione verso il regionalismo “all’italiana”, fonte di sprechi per eccellenza, con i suoi 180 miliardi di costo sugli 800 complessivi della spesa pubblica.
Da qui, anche da qui bisogna partire per una seria riforma del sistema-Italia, sgombrando finalmente il campo da ogni retorica sul regionalismo e sulle autonomie locali e cercando di mettere una pezza alla pessima riforma del titolo V della Costituzione, voluta una quindicina di anni fa dal centrosinistra, che ha favorito l’aumento delle spese, la duplicazione delle competenze ed il venire meno dei controlli da parte dello Stato.
Ora insomma, anche sulle Regioni, è tempo di iniziare a tirare le somme, politiche e di bilancio, per invertire la tendenza. Di false promesse sulle istituzioni “vicine” ai cittadini non ne possiamo più. Se il metro di giudizio per le istituzioni, locali e nazionali, deve essere l’efficienza, il rigore, la capacità gestionale, è giunto il momento perché ogni retorica venga abbandonata e con essa un modello regionale che non è mai decollato.
Ed allora cominciamo a pensare seriamente di abolire le Regioni, per dare voce ai territori, quelli veri, piuttosto che ai soffocanti apparati burocratici, inefficienti e spendaccioni.
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