Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Dal 2003 ad oggi sono state intentate più di 8.000 richieste di risarcimento per ingiusta carcerazione.
2. 500 sono state accolte.
Un numero esorbitante che deve far riflettere anche i manettari più accaniti.
Il problema diventa ancor più spropositato pensando a una legge che non ammette un proporzionato risarcimento poiché fissa il tetto massimo a 516 mila euro.
E, oltre all’errore giudiziario e all’ingiusta detenzione, preoccupa e non poco l’eccessiva ed estenuante lunghezza dei processi, che ha portato a più di 38mila ricorsi.
La giurisprudenza parla chiaro, un processo deve svolgersi in un’aula di tribunale e non esclusivamente attraverso le carte: il processo infinitamente lungo non rispetta più i canoni della giustizia.
Esso deve essere ragionevolmente rapido, quasi a ridosso dei fatti contestati. Altrimenti siamo di fronte a un processo ingiusto.
L’Italia pur essendo la culla del diritto mondiale è andata col tempo dimenticandosi di una sua fondamentale base portante, molto applicata sin dai tempi dell’antica Roma: il precedente giudiziario deve essere vincolante.
La giustizia americana è su di esso che si basa, infatti la Corte Suprema emette 120 sentenze l’anno, ma da quel momento in poi tutti i collegi giudicanti e tutti i gradi di giudizio vi si devono uniformare.
Da noi i vari nessi giurisprudenziali discendono esclusivamente dalle leggi.
C’è un Parlamento che legifera e un magistrato che deve applicare quanto legiferato; e per farlo che succede? Deve interpretare la legge.
I tanti verdetti della Cassazione a tal riguardo non sono determinanti, né vincolanti. Fanno sì giurisprudenza, ma ogni PM, ogni giudice e ogni avvocato recuperano nel passato giurisprudenziale tutto e l’ opposto di tutto.
C’è poi da aggiungere che la legge sovente arriva in netto ritardo, riguardo al caso che deve rendere conforme alla norma, e certune volte appare improduttiva e sterile già dai suoi primi albori.
Poi c’è da mettere in conto anche la determinazione con cui si vuole realizzare una legge e se mai verrà fatta.
Il Parlamento lo si è visto in questi ultimi anni, e lo si vede tuttora, frequentemente opera in base a mere ragioni di maggioranze, di convenienze del momento politico, di vantaggi di questo o quel partito.
Insomma il comune cittadino non è il soggetto a cui certi poteri, politici o filo-politici, si interessano di più, l’importante è mantenere ben saldo il culo alla poltrona e, allora, ben vengano i grovigli tra Res Publica et Lex.
Da quanto sopra il perché del mancato rispetto dei tempi canonici per un processo: 3 anni per il primo grado, due anni per il secondo, e 1 anno per la Cassazione, salve fatte rare eccezioni come si è visto non pochi mesi orsono.
A parte il solito un caso su un milione, basta invece riprendere alcuni nostri articoli di Totalità per rendersi conto delle varie condanne all’Italia da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per notare quanti processi, in primis quelli civili, possano durare dieci, quindici, venti, o addirittura più di 25 anni.
Com’è umanamente possibile dare affidamento a una giustizia che lavora con questi tempi da tartaruga morente?
Negli ultimi anni ci sono stati svariati casi di clamorosi
indennizzi, quantificabili in milioni di euro, che hanno riguardato cause per
equa riparazione dovute a imperdonabili errori giudiziari…
Sì, il risarcimento può lenire, ma non del tutto l’ingiustizia subita; chi mai,
infatti, potrà rifondere l’oltraggio
esistenziale, ovverosia gli effetti devastanti sopportati dalla vittima che ne aggravano
per sempre la qualità della vita?
L’insulto esistenziale va a sommarsi con il danno morale, biologico, fisico e chi più ne ha più né metta.
I magistrati dunque in prima persona devono pagare quest’assassinio psicologico, ma sino a un certo punto.
I giudici essendo umani possono sbagliare e, quindi, pagare, come tutti; l’importante, la cosa basilare è che comunque sia risarcita in tutti i modi la vittima, ma soprattutto venga immantinente riabilitato il suo buon nome, seppellito da una quantità ciclopica di fango.
E’ cosa ben chiara che di fronte al pericolo del rimborso, il giudice di turno si sentirebbe limitato e rivolgerebbe molta più attenzione nel prendere certuni provvedimenti a cuor leggero.
Non bisogna d’altronde dimenticarsi che la colpa può derivare anche da un pessimo comportamento dell’avvocato e da certi suoi errori commessi per ricorsi trascurati, scelte difensive equivocate, errori di procedura.
Molta di questa ingiusta giustizia, o mala giustizia che dir si voglia, deriva anche dalla scarsa preparazione di una parte della categoria degli avvocati, della loro “fantozziana” sottomissione al PM, del loro sbrigativo ricorso al patteggiamento senza dar peso alla memoria difensiva prodotta dal loro assistito e via dicendo.
Dopo quanto, ecco spiegato, spero chiaramente, come il meccanismo della Giustizia italiana procrei così tanta ingiustizia.
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