Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
u una cosa Ferrari ha ragione, nel definire Tolkien “uomo sottile, complicato” e politicamente scorretto (si veda l’articolo pubblicato sul Corsera e riportato nella nostra rubrica «Taci imbecille» http://www.totalita.it/articolo.asp?articolo=4348&categoria=6&sezione=2&rubrica=). È giusta la definizione, ma non siamo certi che Ferrari la usi nel suo esatto valore, ormai il tradimento dei chierici che adattano il lessico in variazioni seduttive (talvolta macroscopiche e aberranti, talaltra minime, ma assai subdole), spesso declinate ideologicamente, questo il vero male assoluto dei nostri tempi, un male assoluto contro il quale si stenta a scorgere una Compagnia dell’Anello e un Frodo capaci di darli battaglia e magari sconfiggerlo.
Già perché Sauron, l’oscuro signore che regna a Mordor, rappresenta il “vero” male assoluto quello che uccide una civiltà e distrugge l’umanità; si tratta di una faccenda metafisica, caro Ferrari, e non di una delle sue tante, infinite declinazioni che gli uomini sanno applicare all’esistenza.
Mandela non è l’eroe che sconfigge il male assoluto, ma colui che ha saputo abbattere un pregiudizio, un errore, un’ingiustizia. Mandela si è battuto “come” un eroe, ha forse ottenuto molto, e aperto la strada ad un modo di confrontarsi con la questione razziale scevro da odiosi atteggiamenti di supposta superiorità. Non escludo che Mandela possa aver compiuto una grandiosa rivoluzione (ma ce lo dirà la storia e non la cronaca emotiva di questi giorni, cari laudatoresdemagogici e ignoranti- vorrei sapere quanti conoscono veramente la storia di Mandela, oltre l’ingiusta e lunghissima detenzione dalla quale è uscito senza propositi di vendetta); non escludo che la storia ci dica che dopo di lui il Sudafrica è un posto migliore, non escludo che abbia saputo emanare una lezione di tolleranza importante.
Ciò detto Mandela non è l’eroe che sconfigge il male assoluto e dunque nemmeno, come tenta inopportunamente di affermare Ferrari, l’eroe che dopo aver sconfitto il male abbandona il mondo che ormai non gli appartiene più.
NO, caro Ferrari, per favore non confondiamo il mito, il grande mito epico, che allude alla civiltà e all’essere dell’umanità nel creato, con le miserabili questioni di questo mondo ignobile e privo di grandezza.
No, Ferrari, le proibisco di confondere le idee ai tanti amanti di Tolkien e del Signore degli anelli, con tali insopportabili sciocchezze.
La malinconia della vittoria del bene, se non lo avesse capito (ed evidentemente non lo ha capito) è determinata dal fatto che quando il male chiama allo scontro finale ha già vinto almeno in parte. Quando il male costringe alla lotta per la sopravvivenza di una delle due parti significa che si è rotto quell’equilibrio che caratterizza una civiltà. E perciò si deve aprire un altro tempo, con altri protagonisti, altri equilibri.
Perciò nel Signore degli Anelli la razza degli Elfi, cui Frodo e Bilbo sono stati assimilati come premio ma anche come stigma della loro partecipazione eroica alla battaglia, parte per un esilio senza ritorno.
Certo è finito il loro tempo, è finito il tempo dei semidei e degli eroi e comincia il tempo degli uomini, ma quella fine è la fine di una civiltà, di un’età dell’oro.
La vittoria contro Sauron, contro quel male che ha tentato di conquistare il potere assoluto, e che ha obbligato alla guerra finale le forze del bene non può che concludersi con un lieto fine venato di malinconia, la malinconia appunto della fine, ancorché positiva.
L’eucatastrofe tolkiena è appunto questo, l’alternativa allo sciocco e immemore happy end del vissero tutti felici e contenti. Non esiste vittoria senza sconfitta, come ci insegna Achille, i canti e i balli per festeggiare la fine vittoriosa della guerra sono la medicina ipnotica da offrire al popolo che ha sofferto e al quale tocca la giusta compensazione, il necessario oblio della fatica subita; come alla truppa toccava la spartizione del bottino sottratto ai nemici, rito catartico, violento, compensatorio.
Ma il condottiero, l’eroe, il semidio non hanno bottino da avocare in premio alle proprie gesta, sanno che ingaggiare la battaglia finale contro il male significa comunque andare incontro alla propria fine; l’eroe (perciò è tale) che ha accettato la missione di combattere il male sa che la vittoria, se riuscirà a conseguirla, porterà benefici all’umanità, al mondo in nome del quale si è assunto l’onere dello scontro.
Questa la malinconia della vittoria finale, questa la rinuncia dell’eroe. Ciò però riguarda gli contri di civiltà, le battaglie epocali e non Nelson Mandela, l’la segregazione razziale, le vicende del Sudafrica.
Smettiamola con la demagogia spicciola, se abbiamo bisogno di eroi da mitizzare, perché, a dispetto di Brecht, i popoli hanno bisogno, hanno fame di eroi e se non li hanno se li inventano, ben venga anche Madiba, se l’ “eroe della lotta all’apartheid” ha reso migliori coloro che lo hanno conosciuto siamo ben felici di celebrarlo come uomo buono, ma per favore evitiamo stupide confusioni.
Inserito da peuterey il 31/12/2013 10:25:42
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Inserito da piccolo da Chioggia il 08/12/2013 17:28:02
a proposito del gran Tolkien, (insulsi Ferrarini non proprio ferrati nello scrivere oltre la modesta periferia delle cose scontate permettendo) : i nostri bravi Giangastoni lettori di Totalità sanno, credo, tutti che il baldo professore-scrittore inglese era anche un illustratore dotatissimo: chine, acquarelli, gouache da lui disegnati sono molto belli, oltre che i più efficaci nel dar forma visibile al mondo da lui ideato. invito i Giangastoni a consultar in libreria il volume che raccoglie una parte considerevole del suo lascito grafico onde si possano cerziorare di persona sul talento meno noto del geniale scrittore. ma ancor meno noto è che anche un suo nipote diretto, lo scultore Tolkien si è fatto un nome con sculture-architetture metalliche piuttosto curiose e di certo non banali. ora chiedo a qualche anima buona di Giangastone o Canapone o addirittura alla Simonetta Maria Luisa se mi possano far avere un indirizzo di postelettronica o simile col quale mi possa io (pronome del pavone spiumato e colla gola ingozzata di miseri ciottoli. Giuliotti ce lo ricorda) metter in contatto con lui. il motivo è serio e ve lo esplico onde non abbiate timore di far una figura meschina con lo scultore una volta che mi deste l'indirizzo e io gli scrivessi: lui ha eretto una scultura-architettura che assomiglia davvero tanto ad una mia idem scultura-architettura fantasiosa. la sua è alta parecchi metri, la mia non sale oltre i quaranta centimetri. la sua ai culmini dei rami porta delle sagome graziose di aerei che dovrebbero ricordare il celeberrimo caccia della RAF, lo Spitfire, la mia sui culmini porta dei lari in candida livrea ad ali aperte come per imitare i loro voli quando li vedo salito sulla torre dell'orologio (quello del Dondi come ricorderete). entrambe le strutture celebrano, se così si può dire, l'idea di libertà, di distacco dalle piccole cose, di maestrià nel vincere la cupa gravità, intrinseca nelle creature e nelle macchine volanti. qui la banalità scontata di Ferrarino l'insulso vi dirà che gli aerei son strumenti anche di morte etc. esattamente come lo può essere peraltro uno stecchino da tavola per una povera lumaca se si ha la crudeltà gratuita di volerla infilzare... potete farmi avere l'indirizzo?
Inserito da piccolo da Chioggia il 08/12/2013 15:11:35
stando alle statistiche dell'ufficio centrale il cognome Ferrari è il terzo per diffusione in Italia. è emerso, quale portatore di questo cognome di massa, il "Drake", Enzo Ferrari colle sue automobili, la scuderia Alfa Romeo nei ruggenti anni 30 etc. ricordiamo pure, di questo costruttore meccanico, che non era solo ristretto all'angusto laboratorio dove si misurano le potenze dei motori e si rettificano al tornio cilindri e pistoni. Ferrari aveva contatto con von Karajan, era infatti un amante della musica, e coltivava un'amicizia vigorosa con l'indimenticabile Giovannino Guareschi. ad un giornalista, che probabilmente imitando l'insulso Ferrarino del Corsera si lanciava in auliche stime sul valore dell'arte del caustico fondatore del Candido e diceva al vero Ferrari che Guareschi, poverino, usava solo duecento parole pei suoi racconti, il "Drake" rispondeva con questa sprezzatura: "usa poche parole, ma ha creato un mondo...". è difficile dopo Ferrari che esista un altro Ferrari. e Ferrarino l'insulso non ci riesce e si fa rimettere al suo giusto posticino di redattore di cronachine dalla nostra Simonetta Maria Luisa. poscritto: non ho l'automobile e delle vetture sportive mi disinteresso del tutto.
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