Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
L’Italia, si appresta a concludere i festeggiamenti per i centocinquantanni d’Unità nazionale, dentro questa cifra, apparentemente fredda come sono i numeri, ci sono vicende grandi e piccole che ne hanno contrassegnato la storia. Ci sono anche uomini che, ognuno nel proprio ambito, hanno contribuito a rendere l’Italia più unita. Se la musica leggera ne è stata uno dei collanti popolari (come pure la televisione e, nell’educazione, la scuola dell’obbligo), uno dei padri della cultura contemporanea può essere annoverato a buon diritto Giulio Rapetti, Mogol. In effetti è più che sufficiente citarne il nome, composto da quello di nascita combinato con quello che per anni è stato lo pseudonimo che lo ha reso celebre in ogni angolo del pianeta, per definirne l’eccezionalità e l’eccellenza. Con i suoi testi ha inciso sul costume, si pensi ad Una lacrima sul viso, che vendette un milione e mezzo di copie e all’impatto che ebbe sul nascente rock’n roll italiano, spartiacque musicale tra il “Bel Canto” e la moderna musica pop, che precederà di un anno: Se piangi se ridi, composta sempre con l'interprete Bobby Solo. Brano con cui Mogol s’affermerà come autore per la terza volta al Festival di Sanremo, di cui complesivamente vincerà cinque edizioni.
Le sue canzoni, che sono oggetto di studio all’Università, nel divenire dei classici, non solo conservano intatto il loro fascino, ma ad esse non possono non guardare interpreti e crooner moderni, come Giuliano Palma, che ha ripreso Tutta mia la città creata in origine per l’Equipe 84. Mentre con Canzoni stonate, Gianni Morandi ritrovò il consenso del pubblico agli inizi degli anni ottanta dopo un decennio di buio. E sempre a Mogol si è rivolto per trovare il pezzo migliore da eseguire lo scorso anno a San Remo. Quel Rinascimento, scritto assieme a Gianni Bella, che è brano di “notevole intensità morale”, ci dice all’interno di questa intervista. A lui devono molto del loro successo artisti di prima grandezza come Mina, Riccardo Cocciante (Cervo a primavera), Mango e lo stesso Adriano Celentano.
Ma Mogol è andato molto oltre: in coppia con Lucio Battisti hanno formato il più formidabile duo creativo italiano. Hanno donato al nostro patrimonio culturale, alcune delle sue pagine più preziose; inciso sulle coscienze e sull’immaginario d’intere generazioni e i suoi versi, esaltati dalla voce unica e dalle partiture ineguagliabili di Battisti, sono entrati nel linguaggio corrente:”Lo scopriremo solo vivendo..” è solo uno dei modi di dire estrapolati dal suo repertorio illimitato. E proprio al suo ex compagno è dedicata L'arcobaleno, inclusa nell'album Io non so parlar d'amore, scritto per Celentano.
Mogol che da oltre trent’anni, si occupa di solidarità attraverso la nazionale cantanti di cui è fondatore, dal 1990 dirige il CET, avveneristica ed innovativa quanto suggestiva da un punto di vista paesaggistico, scuola e laboratorio musicale per giovani autori, cantanti e musicisti che si avvale di docenti d’eccezione come: Giuseppe Anastasi, Giuseppe Barbera e Mario Lavezzi.
Lo raggiungiamo telefonicamente per fotografare il momento artistico/culturale del nostro paese, attraverso la sua esperienza di sublime artista e maestro della parola e del pensiero prestati alla musica.
Maestro, il suo rapporto con San Remo ha compiuto cinquant’anni nel 2011. Nel 1961 con "Al di là": la canzone cantata da Luciano Tajoli e Betty Curtis vince il suo primo festival. Cosa ne pensa di questa rassegna?
Mah, è una vetrina annuale di grande selezione a seconda della capacità della commissione. Quindi, in base alla competenza dei membri, di volta in volta abbiamo le migliori canzoni o meno.
Concorda su questa riflessione: fino agli anni 60/70, a San Remo partecipavano quegli artisti che realmente poi incidevano sul mercato, nei vent’anni successivi è divenuto una specie di refugium peccatorum e poi via via è divenuto un contenitore per cabarettisti, calciatori e veline, cosa rappresenta oggi questa rassegna?
Senz’altro! Progressivamente si è arrivati allo status da lei descritto. Nelle prime edizioni, San Remo accoglieva gli artisti che muovevano le vendite dei dischi. Poi nel tempo ha perso quel ruolo di vetrina ed è divenuto un momento promozionale per quelli che sono finiti nell’ombra. Oggi è difficile stabilire cosa San Remo sia. Questo è potuto accadere in quanto piano piano si è rinunciato al criterio della qualità a favore dell’ auditel. Il metro è questo: la ricerca dell’auditel che si ritiene, generi profitto. È un problema di profitto, tutto ciò che colpisce lo spettatore viene prima della qualtà.
Cosa vuole dirci di ”Rinascimento”, il brano che ha cantato Morandi?
È una canzone emozionante e di notevole intensità morale. Voglio chiarire che non è stata scritta pensando a Gianni e a San Remo. Semplicemente lui l’ha sentita e me l’ha chiesta.
Quando lei e Battisti cominciaste la vs collaborazione, avevate la percezione che avreste fatto la storia?
Eravamo molto orgogliosi del nostro lavoro e della nostra qualità, ma non è che pensassimo a cosa avrebbe rappresentato. Poi non dimentichiamoci che la critica in quegli anni, non era né tenera né ben disposta nei nostri confronti...
C’è storicamente una certa miopia nella critica italiana: ma come è possibile che alcuni vostri testi siano stati accusati di maschilismo?
Eh! In quel momento, in cui tutti cercavano un distinguo politico chi non si schierava a sinistra era accusato di essere di destra o di qualunquismo! Nel 68, noi non eravamo né da una parte né dall’altra. Pensavamo di avere delle cose da dire senza per questo doverci necessariamente omologare. Se prendiamo brani come “Anima latina” o “Anche per te”, per esempio, credo che abbiano una forte tensione morale.
Lei è riuscito a dar forma alle infinite sfaccettature dell’anima, pensiamo ai toni sommessi ed intimisti di “Emozioni” a quelli pacati di “Perchè no”, oppure al disincanto di “Con il nastro rosa”. In particolare mi interessa parlare di quel senso di disperazione e sconfitta che come un fil rouge attraversa testi come “Dieci ragazze”, “Non è francesca”, “Il tempo di morire” fino a “Nessun dolore”
Ho sempre tentato di far parlare la mia psicologia e sensibilità a cui l’arrangiamento e l’interprete danno la voce. Lasciarsi trasportare sul componimento musicale sull’arrangiamento dove poggio le parole come concetti e scene. Quindi nella gamma di emozioni c’è anche quella a cui faceva riferimento lei: "Il tempo di morire", non parla certamente di un’esperienza personale, ho immaginato un uomo, forse molto ignorante che ha un trasporto fortissimo per una donna, alla quale arriva ad offrire la cosa che ha di più prezioso pur di avere una notte d’amore. È un uomo disperato perchè evidentemente non conosce altri modi per conquistarla. Voleva essere un’iperbole su quanto si può essere deboli di fronte ad emozioni più grandi di noi. Inutile dire che sono stato accusato di essere un maschilista, di mercificare le donne...
Mi permetto di citarla: "E gente giusta che rifiuti d’essere preda di facili entusiasmi ed ideologie alla moda.”.Vorrei riflettere con lei sulla modernità dei testi che li rende ancora oggi attualissimi
Bene, oggi una qualche crescita, un minimo di emancipazione c’è. I grandi cambiamenti sono avvenuti dalla massa, non da qualche “intellettuale” invasato. Io segnalai questa esigenza beccandomi del fascista. Allora c’era quest’angoscia, un'infiammazione cerebrale che rendeva ciechi. È stato insultato persino De Gregori (che certamente non può essere additato di essere di destra..ndr.)... queste cose per me erano di una durezza alienante. L’assenza di libertà individuale. Noi parlavamo per noi stessi. Unicamente.
Posso chiederle perchè dopo “Una giornata uggiosa” avete interrotto la collaborazione?
Scelte diverse. Lucio da tempo manifestava questa voglia di cambiamento. Inseguiva altre cose, addirittura rivoluzionò la tecnica di composizione dei brani su cui per anni era basato il nostro processo creativo.
Maestro, mi perdoni se insisto, ma per quanto rilevante, possibile che solo una diversa visione d’impostazione può aver portato ad una rottura definitiva?
Uhm, no..forse furono scelte anche condizionate da altri fatttori...forse ci furono dei consigli...ma la prego, non mi chieda di aggiungere altro. È una questione che non è mai stata affrontata pubblicamente e ritengo che sia giusto che le cose rimangano così.
Quando componeva per Battisti, doveva tener conto della suo timbro così particolare e sottile o le due cose erano indipendenti?
No.Non ho mai scritto per una voce o per un cantante. La mia “intenzione” musicale è nella ricerca del testo che naturalmente è nella musica. In particolare, Lucio componeva, solo dopo io scrivevo i testi, che come ho detto erano già lì. Le musiche di Lucio erano evocative.
Ciò che mi ha sempre colpito dei suoi testi è la capacità di sintesi tra l’estetica e il messaggio, il modo imprescindibile di coniugare cifra stilistica e senso del testo
È un processo di miscelazione tra tecnica sensibilità. Io sento e scrivo e, mentre lo faccio, cerco di tenere i canali sgombri. Cerco di concentrarmi unicamente su questo e allo stesso tempo di lasciar fluire immagini, pensieri. Scrivo con penna e carta, io scrivo per me senza speculazioni sul pubblico. In questo modo il discorso diventa attuale e sincero. Diviene vero.
Parliamo del Cet, le esperienze riportate dagli studenti romani parlano di qualcosa di unico nel suo genere. Di momento formativo e personale fondamentale, come è nato il Cet, cosa l’ha stimolata a crearlo?
2000 allievi in venti anni. Questo è un risultato che m’inorgoglisce. Alla base c’è l’invezione di una didattica e di un metodo assolutamente rivoluzionari. Il docente deve creare un dialogo tra gli allievi e i grandi del pop mondiale. Un sistema innovativo, apprendere lo stile di grandi cantanti. Studiarli per capirne le caratteristiche. In Italia non abbiamo una scuola canora. In America dal post Dylan son tutti cantanti di voce, noi dovremo arrivare ad una mediazione tra il bel canto e l’interpretazione.
Che suggerimento si sente di dare ad un giovane aspirante autore di testi?
Di non stancarsi di trovare un proprio stile, di studiare la musica e la scrittura e di avere coraggio di dire delle cose. Ho dato il Premio Mogol a Povia proprio per queste doti, mi hanno dato del fascio clericale ma io dico:” se premio una canzone su un etero che diviene gay sono nel giusto se se faccio il contrario sbaglio?” Io condannerò sempre ogni forma di discriminazione.
Cosa ne pensa dei talent show?
Mah, non sono contrario per principio. Ritengo però che non facciano realmente ricerca di talenti. Nel senso che più che andare a cercarli, attingono da quelli che si propongono a loro, i selezionati sono scelti unicamente tra i candidati iscritti alle audizioni, è un atteggiamento “passivo”. Invece dovrebbero cercare, andare loro nelle scuole, nei laboratori, si chiamano talent show proprio perchè dovrebbero scoprire talenti. In questo modo anche la qualità se ne beneficerebbe. Anche perchè, se il concorso è libero, difficilmente tra la gran parte degli iscritti ci saranno voci realmente importanti. Da noi, per esempio non è mai venuto nessuno a chiederci di segnalare, eppure di giovani ne abbiamo visti parecchi.
La musica si scarica e i cd non si vendono praticamente più. Una conseguenza dei costi, della qualità o è la naturale evoluzione in linea con un mondo sempre più digitale?
Il problema è la possibilità di avere e ascoltare musica. C’è una differenza tra le due cose. Inoltre la condizione che si sta affermando è che tutti desiderano una vetrina. Se tutti vogliono fare i cantanti, essere protagonisti, il più delle volte senza le basi, lo studio, l’applicazione perchè probabilmente vedono l’aspetto più spettacolare come il successo e i guadagni, i cd non li compra più nessuno ed allo stesso tempo la qualità scende fino ad essere scadente. E non lo dico solo come artista. Io credo nel profitto, che è una cosa giusta, ma il profitto deve essere perseguito attraverso la qualità.
Inserito da Anna Lisa il 10/01/2012 14:08:15
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