Lara e Tonia

Rivedendo Zivago in TV

Dopo quasi 50 anni il film di David Lean sa ancora incantare

di Simonetta  Bartolini

Rivedendo Zivago in TV

Guardo in televisione per l'ennesima volta Dottor Zivago, e per l'ennesima volta, mi commuovo, mi indigno, rifletto sulla straordinaria potenza di questo film, perché incredibile è la bellezza  di quel libro.

Ogni volta che rivedo questa vecchia pellicola (1965) trovo nuovi significati, nuove bellezze, nuovi motivi di riflessione. Purtroppo il film, il libro ormai non lo legge più nessuno, è scioccamente legato ad una immagine romantica che in realtà non gli appartiene. O quanto meno che non è prevalente.

Prendiamo Zivago, interpretato da un incredibile Omar Sharif un egiziano nei panni di un russo! Meravigliosa figura di intellettuale, di poeta, di sognatore. Candido fino all'ingenuità come può esserlo un poeta, svagato come un sognatore, illuso e lucido al tempo stesso come spesso i grandi intellettuali. Eppure dell'intellettuale, del sognatore e del poeta Zivago di Pasternak, letto da David Lean, sa incarnare l'umanità fragile, debole, dolente, orgogliosa, e sensuale, ma anche umile, adattabile, disperata.

Yuri Zivago è il medico che, dopo aver prestato servizio in guerra, torna a Mosca dalla moglie e dal figlio e trova la devastazione della rivoluzione comunista, scoprendo, giorno dopo giorno, la ferocia di un'utopia che potrebbe condividere negli ideali, ma dalla quale si allontata inorridito ogni volta che ne sperimenta la pratica violenta. Eppure egli non matura rancore, magari di tanto in tanto rassegnazione, o ribellione momentanea alla ingiustizia predatoria dell'invidia sociale o dell'ottusità militare frantumata fra partigiani regolari, irregolari, ribelli e banditi. Di fronte alla scaltrezza di vecchi boiardi di stato (qualunque sia il regime, sanno adattarsi con elastica disinvoltura, come la riuscitissima figura di Komarovski rappresenta magnificamente ), o al rigore quasi ascetico fra delirio e lucidità di nuovi condottieri giacobini (Raskolnikov) destinati, come ogni rivoluzionario della prima ora, ad essere divorati dalla rivoluzione.

Zivago è l'uomo che insegue un sogno d'amore trasgressivo e appassionante, e nello stesso tempo è indissolubilmente legato alla tranquilla, stabile, normalità della famiglia.

Lara e Tonia, l'amante e la moglie. Perturbante, dolcissima, passionale, seducente, vera generatrice di emozioni che ispirano la poesia di Zivago, la prima; paziente, lucidamente cosciente della sua posizione, generosamente innamorata, fedele fino all'assurdo, rassegnata al proprio ruolo, la seconda.

Entrambe le figure femminili rappresentano, oltre al tradizionale topos della dualità affettiva, la metafora di quella patria russa che il poeta non può e non vuole abbandonare,  (Pasternak non ritirerà il Nobel  assegnatoli nel 1958, per non allontanarsi dalla sua terra, temendo che gli avrebbero proibito di tornare) alla quale rimane disperatamente fedele di una fedeltà duplice.

La Russia zarista e quella sovietica partecipano e si incarnano in Lara e Tonia. Ma sarebbe sbagliato identificare nella moglie tradizionale la vecchia patria e nell'amante la rivoluzione. In realtà, e non è un caso, che Zivago abbia due figli da una e una dall'altra, ma non possa legare la propria esistenza esclusivamente e definitivamente né all'una né all'altra. Perché il manicheismo della storia non appartiene al poeta e all'intellettuale, ineluttabilmente attratto da un impossibile tentativo di sintesi che sa essere impraticabile, ma che è disposto a tentare come sperimentazione disperata, poetica, predestinata al fallimento. 

Zivago sa che non la sua vita non sarà né con Tonia né con Lara, ma non si sottrae alla ineluttabile sofferenza dell'abbandono, della separazione, del lutto per vivere comunque l'esperienza profonda della vita. Il suo è un continuo affermare: preferisco vivere e non sopravvivere.

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da perlina il 07/01/2012 17:47:51

    non tutto il bianco e nero viene per nuocere

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