Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
uelli di “Micromega” , un po’ come degli amanti traditi, avevano denunciato, qualche mese fa, la fine del della “rivoluzione arancione”, l’onda elettorale che, a partire dal 2011, aveva premiato alcuni candidati sindaci “progressisti” (Giuliano Pisapia, a Milano, Luigi De Magistris, a Napoli, Marco Doria, a Genova) visti come l’ espressione dello scontento del popolo di sinistra verso gli apparati del Pd e trasformati nei vessilliferi di un nuovo modo di governare e di fare politica.
La fotografia degli inviati della rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais ha offerto un’ immagine impietosa della “rivoluzione dei sindaci”: Pisapia chiuso a Palazzo Marino, senza rapporti coi cittadini ed in continuità amministrativa con le precedenti amministrazioni; De Magistris dipinto come un esempio di disorganizzazione, travolto dagli scandaletti familiari, lontano dall’idea di democrazia partecipativa su cui aveva costruito il suo successo; il genovese Doria scialbo e privo di “una visione globale".
La “crepa” dei sindaci “progressisti”, denunciata a suo tempo, sembra ora dilagare. Diventa tendenza, come ha fotografato l’ indagine del “Governance Poll”, la classifica stilata, come ogni anno, da IPR Marketing per “Il Sole 24 Ore”, che fissa il consenso nei confronti dei sindaci e dei presidenti di regione, espressi da un campione di ottocento elettori, per ogni città, disaggregati per sesso, età e residenza.
Al di là del gioco, un po’ stucchevole, su chi scende-chi sale, il dato più rilevante è il crollo generale di credibilità degli amministratori locali e degli stessi istituti di rappresentanza amministrativa.
Secondo la graduatoria ben due sindaci su tre hanno fatto registrare una flessione del gradimento, e tranne rare eccezioni, per i pochi primi cittadini che vedono crescere le proprie performance si tratta di incrementi contenuti nell’ordine di qualche punto percentuale. Il 65 per cento dei sindaci perde consenso, percentuale che arriva al 76 per cento per i “governatori”, segno di una sfiducia generalizzata, provocata da un oggettivo rifiuto contro un “sistema” verso il quale i cittadini avevano manifestato grandi aspettative, evidentemente mal riposte.
C’ è poi anche una crisi “strutturale”, legata ai modelli di rappresentanza, su cui Stefano Folli (“La periferia delle virtù smarrite”, «Il Sole 24 Ore», 13 gennaio 2014) mette l’accento, denunciando la perdita di credibilità dell’istituto regionale, immagine malinconica di piccolo cabotaggio amministrativo, costoso e inefficiente: «Lasciamo stare – scrive Folli – la tentacolare e farraginosa macchina del cosiddetto ‘federalismo’, una delle imprese più fallimentari del ventennio appena trascorso. Nel rapporto costo/benefici le poche novità positive introdotte da queste faticose riforme sono state pagate a caro prezzo dai cittadini; ma nella maggior parte dei casi hanno condotto solo a spese crescenti senza modificare in meglio la qualità della vita».
Evidentemente, visti i risultati del sondaggio, il problema è duplice: di azione politica (e quindi di classi dirigenti) ed istituzionale. Non basta perciò la “stabilità”, offerta dai sistemi elettorali, a garantire il “buon governo” nelle amministrazioni locali. Né, di per se stesso, è sufficiente l’auspicato “decentramento” ad alzare la qualità degli interventi pubblici e a migliorare il rapporto con i cittadini. Neppure le sbandierate “primarie” del centrosinistra paiono reggere la prova, vista l’insipienza di certi eletti.
Diciamo, in estrema sintesi, che gli enti locali pagano un generale discredito istituzionale, frutto della scarsa credibilità delle classi dirigenti, della debolezza dei sistemi rappresentativi, che, per quanto “maggioritari” e votati alla stabilità, non favoriscono il rapporto tra eletti ed elettori, di un generale costo “di sistema”, prodotto da inefficienze, corruzione, piccolo cabotaggio amministrativo.
Non è solo un problema di “risorse”. Anche qui, nelle autonomie locali, c’è bisogno di discontinuità. Non tanto vagamente “generazionale” (Matteo Renzi, nella sua veste di Sindaco di Firenze, perde, rispetto al suo ingresso a Palazzo Vecchio, 4,5 punti percentuali) quanto di strategie, di priorità, di strumenti di selezione/partecipazione politica. Anche qui, problema di metodo e di contenuti, sui crinali di una crisi “di sistema” che ormai pare dilagante, dal governo centrale alla periferia del Paese.
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