Editoriale

Il colore della violenza: il comunismo è morto il fascismo no

Si continua a perpetrare un oltraggioso tradimento lessicale per cui i cattivi anche se di sinistra sono sempre fascisti

Gianfranco de Turris

di Gianfranco de Turris

urante una manifestazione a Roma i No TAV assaltano la sede del PD, e Gianni Cuperlo parlò di “violenza fascista”.

Un giornalista de la Stampa viene pedinato e filmato nonostante sia sotto scorta; un senatore del PD trova sul pianerottolo di casa bottiglie incendiarie e lettere minatorie alla scuola calcio di suo figlio: entrambi sono nel mirino dei No TAV che sanno tutto di loro. Dopo aver denunciato il fatto, Marco Imarisio sul Corriere della Sera del 14 gennaio così conclude il suo corsivo: “Quello che stanno subendo Massimo e Stefano si chiama fascismo”, e il suo pezzo è intitolato “Non si sentono parole di condanna per le minacce fasciste dei No TAV”.

Ora che un politico di sinistra usi quei termini può essere comprensibile anche se non giustificabile, ma che usi una simile fraseologia un cronista di solito attento e oggettivo che non ha mai fatto sconti ai violenti è sconfortante. Vuol dire che la battaglia delle parole e il luogocomunismo progressista ha imposto i suoi diktat, e nessuno ha il coraggio di andare controcorrente. Non è vero che la violenza è violenza e non ha colore. La violenza invece da qualsiasi parte provenga ha un solo colore, quello nero, è fascista, mai quello rosso come pure sono i No TAV.

Eppure un giornalista come Imarisio dovrebbe avere buona memoria e ricordarsi, pur se magari non ha vissuto di persona quell’epoca, il modus operandi del terrorismo ultracomunista degli anni Settanta. Erano le Brigate Rosse, Prima Linea, Potere Operaio e le altre sigle consimili a fare proprio quello che stanno facendo oggi i No TAV,  infiltrati e ormai guidati dai violenti e dai facinorosi di professione che a quella esperienza di quarant’anni fa si stanno rifacendo incoraggiati dalle Nuove BR in galera. Erano loro che pedinavano, fotografavano, annotavano orari di entrata e uscita da casa e dai posti di lavoro, prendevano i numeri delle targhe e gli indirizzi: si sono trovati fogli e quaderni pieni di simili dati, soprattutto di gente di destra, spesso alla fine ammazzata o ferita. Evidentemente anche quelli erano fascisti mascherati da comunisti come anche inizialmente si tentò di accreditare, ad esempio da parte di Umberto Eco e di Giorgio Bocca.

Non era affatto così, perché quelle brave persone erano compagni convinti, che magari sbagliavano come pure si disse, ma compagni, convintissimi delle loro idee comuniste e di quanto facevano, come in fondo lo sono oggi i No TAV.

Però oggi il comunismo non esiste più, i comunisti tanto meno e si sorride quando qualcuno li cita: ma guarda un  po’, c’è ancora qualcuno che ci crede! Mentre invece il fascismo e i fascisti quelli sì che  sono  dietro l’angolo, alle porte, ci minacciano e ci spiano occultamente, sono pronti alla rivincita, non c’è affatto da scherzarci.

Essere riusciti a tanto è indice del potere che ha ancora l’intellighenzia, il giornalismo e la politica di sinistra: col tempo hanno effettuato una specie di lavaggio del cervello senza praticamente opposizione. La violenza di ogni tipo e genere, di ogni provenienza e manifestazione non è, non può essere che “fascista”!. Amen.

Cade (ritengo volontariamente) nella trappola linguistica anche il Pigi Battista, difensore sempre sulle colonne del Corriere della libertà di opinione scritta e parlata, anche se qualche volta se lo dimentica. In un altro corsivo, questa volta del 15 gennaio, stigmatizza l’assalto di un gruppo di studenti nei confronti di Angelo Panebianco, docente bolognese e collaboratore del quotidiano dove aveva osato scrivere parole sensate e                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       controcorrente sulla immigrazione. Accusato di “razzismo”, imbrattate pareti e porta del suo studio all’università, irruzione nelle sue stanze, intimidazione. Per Battista si tratta di “squadrismo” e di “gestualità squadrista” tout court, neppure, chessò, di “squadrismo rosso”. C’era da scommetterci. Eppure Battista ha l’età e l’esperienza  per ricordarsi bene cosa avveniva negli atenei italiani a partire dal mitizzato Sessantotto: le stesse identiche cose. Anch’esse ”squadrismo” o non piuttosto “violenza proletaria” contro i “baroni reazionari”? Da quella contestazione nacque infatti il terrorismo ultracomunista. I giovani che hanno insultato Panebianco lo definivano “razzista”, vulgo “fascista”. Da parte di “squadristi” un po’ strano.

Se la reazione pavloviana secondo cui ogni violenza è per definizione “fascista” ha attecchito nelle sinapsi di un famoso giornalista come Pigi Battista (il quale peraltro non dice a quale “collettivo” gli aggressori appartenessero), allora ci sono rimaste poche speranze per salvarci dal conformismo lessicale generalizzato.

Infine, la domanda da cui dipende, penso, la nostra possibilità di poter essere finalmente un “Paese normale”: perché la violenza nera di novanta anni fa è incancellabile e la violenza rossa di quarant’anni fa è cancellabilissima, al punto che su targhe e lapidi degli assassinati della formazioni comuniste non si capisce mai chi li abbia uccisi, mentre quella di Bologna è una “strage fascista”?

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    1 commenti per questo articolo

  • Inserito da Fabio S. P. Iacono il 19/01/2014 19:12:56

    E' oramai giunto il segnale fondamentale, che ri-anima quanti, sono molti italiani ed italiane, non intendono fare la fine dei personaggi in cerca d'autore dell'Accademico d'Italia Luigi Pirandello. Liberali nazionali d'ispirazione cristiana (esterni al PPE), conservatori riformisti, autonomisti di rango, non indipendentisti, come la Sig.ra Poli Bortone, sino alla destra sociale nazionale, non possono assistere oltre al declino cuturale, economico e sociale nel quale sta sprofondando il faro della civiltà occidentale: la bella Italia. Stop alle divisioni ed alle liti nell'area che ci riguarda, spazio e tempo ad "un'Alleanza Nazionale necessaria.

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