Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
aurizio Maggiani è un intellettuale d’impronta pasoliniana, impegnato, da sinistra, a guardare alla realtà, senza perdere però di vista l’anima profonda e popolare del nostro Paese, quella che egli sente vicina alle proprie origini, alla propria terra, alla casa della giovinezza, con l’aia, l’orto, i campi coltivati a patate e cavoli, “costruita - come scrive nelle sue note biografiche - da mio nonno con gli scarti della fornace di mattoni del paese a ridosso della via Aurelia, nella frazione Molicciara di Castelnuovo Magra, la piana che dai suoi abitanti è chiamata Luni, perché è lì, da qualche parte nei campi, che ancora inciampano sulle rovine dell’antica città romana”. E’ perciò con spirito autenticamente “corsaro”, che il Nostro attraversa le cronache e le notizie, sparando le proprie bordate senza guardare in faccia nessuno, compresa la vecchia/nuova sinistra, deludente, ai suoi occhi, quando perde il senso della propria identità popolare.
La notizia – riportata da Maggiani nell’articolo domenicale, pubblicato dal quotidiano genovese “Secolo XIX” (“Se anche il circolo Pd diventa sala slot”) - riguarda la campagna del sindaco di Ravenna contro le sale da gioco della propria città. Nel suo slancio moralizzatore il sindaco della città romagnola, cuore di un appassionato e radicato risorgimentalismo repubblicano, ha lanciato il suo invito alla locale Casa del Popolo, chiedendo pubblicamente al Pd,che la gestisce, di togliere i videopoker ed ottenendo, in tutta risposta, un diniego: la realtà – dicono i dirigenti locali del partito – è che eliminati i giochi d’azzardo l’ istituzione dovrebbe chiudere i battenti.
La vicenda porta Maggiani non solo a tristi considerazioni sulla perdita di identità di una sinistra costretta a sopravvivere grazie al videopoker, ma anche sul venire meno, perfino esistenziale, di quel mondo, fatto di popolo vero, di discussioni appassionate, di politica e di socialità, oggi travolto dalla non politica, dall’effimero e dai non luoghi, rappresentati dai centri commerciali.
Con qualche distinguo però. Tra tante macerie – scrive Maggiani – anche in città tradizionalmente “rosse”, come Ravenna, sembrano resistere quali esempi di sana aggregazione qualche circolo parrocchiale e …Casa Pound (“E io penso sinceramente, Iddio mi perdoni, che è meglio Casa Pound di un centro commerciale”), concludendo: “Il resto, le Case del Popolo che solo un’epoca fa erano appunto in certe comunità gli unici spazi disponibili , sono macerie, e anche quando stanno ancora in piedi può capitare che siano gestiti come macerie, macerie di uno spirito che non ha più testimoni che abbiano voglia di tenerlo vivo”.
In un Paese “normale” considerazioni del genere troverebbero più di un salotto televisivo ad accoglierle e a discuterle. Difficilmente succederà da noi. Anche quando a parlare è Maggiani, formalmente un uomo di sinistra, ma politicamente scorretto (al punto di parlare bene di Casa Pound) come provò ad essere il Pasolini “corsaro”, quello che avrebbe dato l’intera Montedison per una lucciola. Ieri le “lucciole”, oggi Casa Pound. In fondo, la sostanza, per chi sappia guardare, è la stessa.
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