Editoriale

Master chef della politica: arrosti presidenziali bruciacchiati, e governi duraturi come soufflé

Ha ragione Napolitano a parlare di fumo, risultato delle manovre per bruciare Berlusconi, ma adesso come sopravvive Letta?

Giovanni F.  Accolla

di Giovanni F.  Accolla

arà soltanto fumo quello prodotto in questi giorni sulle ricostruzioni della caduta del governo Berlusconi, ma - questo lo sanno anche i bambini - il fumo nuoce alla salute. In verità più che di fumo, si tratta di “acqua calda”, ovvero: nihil novi sub sole. Insomma, solo le finte mammole o gli indottrinati da La Repubblica possono avere un moto di sorpresa: l’esecutivo Berlusconi cadde per un attacco concentrico, preparato ad arte da più tempo e da più soggetti nazionali e - soprattutto - internazionali. Il presidente Napolitano (erano e sono forse le sue prerogative istituzionali, dicono alcuni, mentre a me pare che qui si evochi il detto: a brigante un brigante e mezzo!) prese atto, consultò, coordinò e agì secondo la sua personale sensibilità politica.  

Nell’ultimo libro di Alain Friedman, anticipato sul Corriere della Sera e sul Financial Times non si dice nulla che non si sapesse o che non si fosse già compreso. La salita al potere di Mario Monti è stata una storia con pochi, ma ben assortiti protagonisti: Napolitano, Prodi, De Benedetti, Passera. Solo che oggi il libro di Friedman lo dice a chiare lettere: la caduta del governo Berlusconi nel 2011 non fu un normale processo politico generato dalla crisi economica, ma una vera e propria operazione ai limiti della democrazia che iniziò molti mesi prima. Concertata in Europa e negli Usa e realizzata in Italia.

Ora sappiamo - per stessa ammissione di alcuni dei protagonisti - che fin dall’estate del 2011, Napolitano aveva offerto a Monti la carica di Presidente del Consiglio e l’ex commissario europeo chiese un parere e un ovvio appoggio ai suoi amici Prodi e De Benedetti, mentre Corrado Passera già si scaldava ai bordi del campo preparando mirabolanti piani economici per il presidente della Repubblica, ipotecando il futuro ruolo.

Ciò che le rivelazioni di Friedman non portano alla luce, però, è il ruolo che in questa operazione ebbero alcuni poteri extra-nazionali. Il giorno dopo le dimissioni di Berlusconi - tanto per citare qualche buona fonte  e rinfrescare la memoria -  il quotidiano inglese The Spectator rivelò che la sua eliminazione politica era stata richiesta da Bruxelles. Nell’articolo si raccontava che già nel G20 di Cannes (due settimane prima) un funzionario del Foreign Office inglese aveva dichiarato: “si sta procedendo verso la rimozione di Berlusconi”. Anche il Financial Times di quei giorni definì una “rimozione chirurgica” l’uscita di scena del Cavaliere.

Ma oggi c’è qualcosa di strano da registrare: nel commentare con grande risalto lo scoop di Friedman, lo stesso giornale - da sempre ostile a Berlusconi -  ora scrive: “qualunque cosa si possa pensare di Berlusconi, la manovra fatta dietro le quinte solleva gravi questioni costituzionali”. Come dire, e neanche tanto sottilmente: Napolitano ha violato la Costituzione.  Ohibò, non è che ora la stella del presidente della repubblica sia in caduta?

Certo è che le possibilità di sopravvivenza dell’esecutivo Letta oggi sembrano davvero ridotte al lumicino. E se il non più giovane Letta (oh, oramai in politica s’invecchia alla velocità della luce) esce di scena, sarà piuttosto difficile un’ulteriore doppia piroetta del Quirinale. Fallito il progetto Monti, franato quello intestato all’esponente del Pd… credo che Napolitano dovrebbe trarre qualche conseguenza. Tranquilli, però, ora c’è Renzi. Il nuovo che avanza. Una volta - in tempi di vacche grasse -  quel che avanzava si buttava nell’immondizia o lo si dava in pasto al gatto. Ora ci tocca tenercelo come fosse una risorsa. Ma il destino del nostro Paese è segnato e sempre sullo stesso solco: Renzi di nuovo ha ben poco. E’ solo il nuovo cavallo su cui scommettono gli stessi di sempre. Quelli di cui ho parlato prima, ovviamente.

Ciò che ancora mi appare poco chiaro è come il sindaco di Firenze pensa di arrivare a palazzo Chigi. Esclusa la possibilità di partecipare ad un Letta bis con una sua rappresentanza politica, per ovvi motivi di immagine, non è che se seguirà l’esempio di D’Alema - ovvero attraverso un incarico senza il voto - ci farà una gran figura! Altro che nuovo, altro che democrazia: saremmo al secondo presidente del Consiglio di seguito uscito dal calcolo e dalla disperazione e non dalla legittima volontà popolare. Avanti Renzi dunque, anche se la durata e la fortuna dei politici, in questi sciagurati tempi, sembra quella di un soufflé. Ben saldi ai fornelli rimangono solo i cuochi, e che chef!

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