Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
“I have a dream”, “Io ho un sogno”, rappresenta il refrain del leggendario discorso che Martin Luther King Jr. pronunciò il 28 agosto 1963 alla Marcia di Washington per il lavoro e la libertà, nel tentativo di appoggiare l’approvazione al Congresso della legge per i diritti civili voluta da John F. Kennedy.
Decolla appellandosi a un testimone assente, vale a dire Abraham Lincoln, al quale si appella anche Obama[1]: “Cent’anni fa un grande americano, sotto la cui ombra simbolica ci troviamo oggi, firmò il Proclama di Emancipazione”[2]. Lincoln si trova sia nella circonlocuzione “un grande americano”, sia - questa volta indirettamente - attraverso l’eco delle parole d’apertura del discorso di Gettysburg “Ottantasette anni fa...”.
Le anafore di questo discorso, insistenti e incalzanti, ricordano un salmo. Oltre a “Io ho un sogno”, a essere ripetute più e più volte sono anche le espressioni “Sono passati cent’anni”, “adesso è il momento”, “non potremo mai essere soddisfatti”, “alcuni di voi sono venuti”, “tornate”, “Potremo”, “che la libertà riecheggi”, “liberi finalmente”.
Le sue citazioni e i suoi parallelismi evocano chiaramente la Bibbia: il libro di Amos, il libro di Isaia, i Salmi. Il testo fa riferimento anche alla Costituzione (“noi riteniamo ovvie queste verità”), degli anatemi patriottici (“risuoni la libertà”) e la perorazione sullo stile dello spiritual nero (“liberi finalmente”).
Pensiamo che la frase “Io ho un sogno” non è stata utilizzata unicamente in quel discorso e addirittura, quando il discorso fu pianificato, non compariva neppure nel testo.
Il movimento dei diritti civili emerse dalle chiese nere dell’America del Sud e per i suoi migliori oratori il sermone e il discorso politico avevano una radice comune, un linguaggio comune e un pubblico comune.
King parlava a una comunità sia religiosa che politica e risulta quindi chiaro che il suo linguaggio costituisse un ponte fra la retorica pressoché sacra della Costituzione americana e il linguaggio espressamente biblico di un pulpito degli Stati del Sud. Il piano divino (religione) si fonde allora con l’azione umana (politica): l’uomo può e deve mobilitarsi per la giustizia terrena, e Dio agirà attraverso di lui. Ecco le epifanie divine nel discorso di Martin Luther King Jr.: Il «monte e colle... abbassati» (Isaia) e la «montagna della disperazione» (riferimento quasi blakiano) si dispiegano nel discorso come archetipi e poi resi letterali nell’ampia serie di anafore «Che la libertà riecheggi»: «dalle straordinarie colline del New Hampshire... dalle possenti montagne di New York... dagli elevati Allegheny della Pennsylvania... dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado... dai pendii sinuosi della California... dalla Stone Mountain della Georgia... dalla Lookout Mountain del Tennessee... da ogni collina e da ogni tana di talpa del Mississippi».
Non mancano i truismi (da true, aspetti della realtà che sono veri ed evidenti) come “1963”, “afosa estate”, “i miei quattro bambini”.
Infine, come sostiene l’esperto di retorica Sam Leith, “Io ho un sogno non è solo appassionato. È anche estroso. Non è soltanto commovente. È pure divertente, volutamente. [...] Questo discorso non soddisfa solo i precetti ciceroniani di commuovere e educare, ma sa anche divertire”[3] (()). E infatti leggiamo qui:
“In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d'indipendenza, hanno firmato un «pagherò» di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. H «pagherò» conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: vita, libertà e ricerca della felicità.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l'America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l'America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che è tornato indietro, con la scritta «copertura insufficiente». Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento. Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l'assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia.”
La qualità entusiasmante del discorso «lo ho un sogno» emerge proprio dal suo sense of humour, che gli dona vigore e magniloquenza. Ha Dio e il suo popolo dalla sua parte. Può permettersi di ridere dei razzisti dell’Alabama.
[1] I. Pivetti, A. Roberti, Dal celodurismo a Yes we can passando per il vaffa... e la rottamazione. Le parole della politica e l’intelligenza linguistica, Prefazione di Clemente Mimun e postfazione di Alessio Vinci, Alessio Roberti Editore, Urgnano, 2012, pp. 16-21.
[2]La storia è un po’ divisa sul considerare Lincoln un anti-schiavista. Anche se firmò il Proclama di Emancipazione, nel corso della Guerra civile scrisse al New York Tribune: «Se potessi salvare l'Unione senza liberare alcuno schiavo lo farei, e se potessi farlo liberando tutti gli schiavi lo farei ugualmente». Era un uomo pragmatico, e la schiavitù non era al vertice delle sue priorità. Ai fini retorici, tuttavia, ciò che conta è che i posteri americani scelgono di considerarlo senza dubbio anti-schiavista di principio, proprio come scelgono di credere che la Guerra civile sia stata combattuta contro la schiavitù e la Seconda guerra mondiale per salvare gli ebrei dall'Olocausto.
[3]S. Leith, Fare colpo con le parole. Trattato spregiudicato di retorica da Aristotele a Obama, Ponte alle Grazie (Adriano Salani Editore), Milano, 2013, pp. 215-224.
Inserito da ArouroLah il 08/09/2021 16:32:11
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En Bien! La Francia alle urne... ma per andare dove?
L'Italia senza Renzi è un po' più seria ma molto più imbambolata, meglio che torni magari in dosi meno esagerate
Subito elezioni? Forse meglio di no. Spiegalo al centrodestra.
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