Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
E’ di poche ore fa la notizia del suicidio di un 54enne di Melito (NA), già infartuato, arrivato a tanto per problemi economici.
L’Italia sta sempre più diventando il Paese dei suicidi.
C’è chi capisce questo gesto disperato e liberatorio e chi lo definisce pura codardia.
Ci sono individui che si tolgono la vita per problemi economici
o perché chiusi in un carcere dove diventa un lusso anche respirare.
Nel periodo aristotelico il suicidio veniva definito un vero e proprio atto di
viltà.
Lo stesso Platone, maestro di Aristotele, non accettava il suicidio se non per certune necessità ineluttabili e ne condannava l’atto vergognoso, meritevole di sepoltura senza nome.
Lo stoicismo, al quale mi sento molto vicino filosoficamente parlando, è forse uno dei modelli più conosciuti di norma di vita che accetta il suicidio e, anzi, in determinate situazioni, lo rappresenta come un atto assolutamente naturale.
Seneca, immenso filosofo che ha posto fine alla sua vita con un atto volontario, quantunque imposto da Nerone, ma ben ricordiamo che uno stoico non fa mai nulla contro il proprio volere, spiega nei suoi scritti che il vero stoico, quando ritenga di aver portato a termine il compito che il fato gli ha riservato, può decidere serenamente di uscire dalla vita.
L'approvazione del suicidio è la sintesi di una filosofia che insegna che i mali spesso sono tali solo in apparenza, e la morte non fa minimamente eccezione.
Occorre però ricordare che il suicidio è consentito non come fuga, ma solo quando il proprio dovere è compiuto, e anche in questa circostanza è chiaramente solo una personale scelta.
Pensate aun condannato per un reato che non ha commesso e che, comunque, ha portato avanti una vita di rettitudine e lealtà.
Lo sgomento angosciante che lo attanaglia e che cosparge di disperazione anche i suoi cari, non può che trovare soluzione nel togliersi stoicamente la vita, dal momento che la giustizia sta massacrando senza pietà il suo corpo e la mente. Un’uscita di scena con una lettera che ne spiega il motivo, ben sapendo di aver fino a quel momento svolto una vita di cui non vergognarsi, è un atto da apprezzare e condividere.
Il più delle volte, infatti, si uccide l’innocente, non pronto nell’affrontare un’onta così dilaniante e umiliante; il colpevole lo può fare se già profondamente malato o se oppresso da un’estrema severità all’interno del carcere.
Molti PM sono causa di questi gesti e lo stesso Seneca definirebbe loro quali veri carnefici del suicida.
Per Epicuro il suicidio è una totale attestazione della libertà umana sulla legge della necessità che governa la natura. Egli scrive: "È una sventura vivere nella necessità, ma vivere nella necessità non è per niente necessario".
Dante Alighieri collocherà i suicidi nell'Inferno nel cerchio dei violenti contro sé stessi (XI, 40-45 ove condanna Pier delle Vigne. Ma giustifica Catone, uccisosi ad Utica, collocandolo nel Purgatorio poiché aveva rinunciato alla vita per non sottomettersi al regime di Giulio Cesare. Presenta questo personaggio scrivendo: "libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta" (Purgatorio ,I, 71-72).
Alfieri, dal canto suo, descrive il suicidio come atto non di debolezza ma di vera ribellione: quando gli ostacoli della vita diventano insormontabili e l'uomo si sente sopraffatto da un destino che lo condanna implacabilmente alla sconfitta, egli può ricorrere a tal gesto, inteso, non come vigliaccheria, ma come opposizione a ciò che il fato gli ha riservato.
Personalmente credo che il continuo pensiero verso la morte sia un fattore insostituibile alla creazione della morale soggettiva; fondamentale, pertanto, è l’atteggiamento del suicidio, senza l’dea del quale, sarebbe difficile resistere a qualsiasi dolore.
Il suicidio è dunque l’extrema ratio, sempre costantemente conservata nella sua fattibilità anche se poi non attuata, così da rendere sopportabile ogni dolore del corpo e dell’anima, sapendo che abbiamo questa risorsa da adoperare.
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