Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
Come sostiene lo storico della politica Maurizio Ridolfi, è sul suolo italiano, vale a dire alla luce dei modelli classici e dei comuni medievali della Penisola, che nasce l’organizzazione della politica. La prima forza politica a organizzarsi è quella repubblicana, grazie al disegno pensato e realizzato da Giuseppe Mazzini già negli anni Trenta e che vanterà più avanti un proprio mito di fondazione: il laboratorio politico della Repubblica romana del 1849, definita dall’Intellettuale genovese “non […] una repubblica rossa, cioè sanguinaria, ella è pacifica, è il risultato dell’umano diritto vestito dell’umano incivilmento”[1].
E’ la Giovine Italia, fondata a Marsiglia nel luglio del 1831, la creatura di Mazzini che contempla già tutti i caratteri del moderno partito politico. Ha infatti un programma definito e pubblico; un’organizzazione stabile e un coordinamento territoriale organico e strutturato; dei meccanismi di autofinanziamento attraverso l’adesione individuale; dei dirigenti selezionati dall’interno; un modello di società a cui tendere, che la Giovane Italia espressamente indica; un meccanismo di apostolato morale volto a educare alla politica.
La rete clandestina della Giovane Italia viene smantellata nel 1934. Tuttavia Mazzini, nel 1941 dall’esilio londinese indica nuove forme di azione economica a vantaggio del mondo del lavoro. In quella sede promuove l’Unione degli Operai Italiani, organismo che sorge nel quadro della ricostituita (dal ’38) Giovine Italia e che è destinato a diventare egemone nell’ambiente operaistavent’anni più tardi. Al congresso nazionale delle società operaie a Firenze del 1861, infatti, la corrente repubblicana diventa maggioritaria e dall’organismo escono le associazioni di ispirazione moderata[2].
Accanto a queste strutture i repubblicani affiancano le consociazioni, vale a dire organizzazioni politiche di carattere federativo e regionale. Il compito principale di questi enti è quello di formalizzare l’identità politica degli italiani repubblicani[3]. Nel 1871 al Congresso tenuto a Roma dal 1° al 6 novembre viene siglato il Patto di Fratellanza tra società operaie di orientamento democratico. Le tendenze marxiste e anarchiche, con i loro fervori dogmatici, scompaginano gli equilibri politici del Patto. Equilibri che i repubblicani fanno sempre più difficoltà a mantenere. Mazzini e i suoi fedeli hanno un bel daffare, durante i congressi, a quietare le passioni collettiviste che trovano via via sempre più adesioni. Talvolta, non riescono neppure a trattenerle. È ormai avviato quel processo culturale che invertirà gli equilibri all’interno della sinistra. Quella marxista scalza del trono quella mazziniana. La prima diventerà maggioritaria mentre la seconda sarà relegata a un ruolo inferiore.
Il Partito Repubblicano Italiano sorgerà invece nel 1895 con una chiara identità programmatica, con la riconferma delle idealità repubblicane e la prospettiva di una democrazia sociale svincolata dalla priorità socialista della lotta di classe[4].
Nel 1897 i repubblicani creano un proprio gruppo parlamentare, come hanno già fatto i radicali che però si costituiranno in partito appena nel 1904[5]. Questo permette ai repubblicani di battersi uniti per il loro programma e rivendicare le istanze mazziniane che vi stanno alla base.
Spesso, ma erroneamente, si pensa che la sinistra italiana nasca materialista, collettivista, classista e internazionalista. Piuttosto, lo diventa. Nasce invece spiritualista, solidaristica, interclassista e nazionale (attenzione: non nazionalista). In Italia (e non solo) sarà la fortunata diffusione del marxismo tra le masse a permettere alla sinistra socialista e comunista (sorta successivamente a quella repubblicana) di diventare egemone e relegare a un ruolo e in uno spazio secondari la sinistra primigenia. Saranno gli anni che vanno dal 1892, anno della creazione del Partito dei Lavoratori Italiani al Congresso di Genova, al 1895, anno della costituzione del Partito Socialista Italiano, a cambiare i rapporti di forza. E questo soprattutto alla significativa rete di associazioni socioeconomiche e ricreativo-culturali sulle quali il Psi si fonda[6]. Ma precedentemente al 1891, anno in cui si tiene a Milano il congresso operaista che decide la costituzione di un partito socialista[7], la sinistra repubblicana, e di conseguenza anche il suo ideale spiritualista, sono ancora maggioritari e il materialismo marxista non è ancora preponderante.
Per l’Intellettuale genovese – e questo è forse l’aspetto più interessante di questo suo ragionamento - comunismo e capitalismo (oggi lo chiameremmo “turbocapitalismo finanziario”) scivolano entrambi verso esiti reazionari e liberticidi, devastanti per il singolo come per la comunità. Sia l’una che l’altra formula si contrappongono al pensiero di Giuseppe Mazzini, che protende invece al miglioramento individuale e alla conseguente crescita di tutta la società e che riconduce all’essenza del principio progressista. Col senno di poi, premonizione più che azzeccata.
[1] L’albero della libertà, Bologna, 1849, manifesto riprodotto in G. Spadolini, L’Italia repubblicana, Newton Compton, Roma, 1988, p. 69.
[2] M. Ridolfi, Storia dei partiti politici. L’Italia dal Risorgimento alla Repubblica, Mondadori, Milano, 2008, pp. 4-5.
[3] M. Ridolfi, Il partito della Repubblica. I repubblicani in Romagna e le origini del Pri nell’Italia liberale (1872-1995), Franco Angeli, Milano, 1988, pp. 351-355.
[4] Ibidem, pp. 356-359.
[5] E. Sacchi, Il concetto politico del partito radicale, in “Nuova Antologia”, 1, 1904.
[6] M. Ridolfi, Storia dei partiti politici. L’Italia dal Risorgimento alla Repubblica, cit., pp. 37-38.
[7] Il congresso operaio in Milano, in “Critica Sociale”, 20 agosto 1891, p. 177.
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