Comitato direttivo
Giovanni F. Accolla, Franco Cardini, Domenico Del Nero, Giordano Bruno Guerri, Gennaro Malgieri, Gennaro Sangiuliano, Mirella Serri, Marcello Veneziani.
unedì 24 febbraio il premier più giovane della storia d’Italia chiede la fiducia al Senato. Con 169 sì (quattro in meno di Letta) e 139 contrari Matteo Renzi guarda già alla Camera, dove sa che lo attende una maggioranza un po’ più ampia (col senno di poi: 378 sì e 220 no).
Scalzato il collega Enrico Letta, che su Twitter ha rimosso ogni riferimento all’appartenenza partitica al Partito Democratico, così viene accolto dalla Camera alta: sì incondizionato e convinto del NCD; sì altrettanto incondizionato ma forse un po’ meno convinto del PD; sì sobrio e composto di Lista Civica; sì “solo per fare un favore a Napoletano” di UDC; no di FI perché “siamo culturalmente diversi”, ma con il massimo appoggio alle riforme e proposte a diverso titolo, se di natura “liberale”; no con riserva, quello della LN, che critica Renzi e il suo governo, senza però sbarrare la strada alla collaborazione istituzionale e senza spegnere il lumicino, per quanto debole e fioco, della speranza; no un po’ nostalgico di SEL, confermando il proverbiale daltonismo secondo cui anche il rosso diventa nero; no imbestialito del M5S, irriverente fino alla maleducazione: un politicamente scorretto che diventa corretto nella misura in cui ricalca pedissequamente, senza sgarrare di una virgola, le invettive che ormai imperano le pance e le strade italiane.
Al di là delle accuse fondate – a partire dalle dichiarazioni contraddittorie del premier – c’è modo e modo di esprimerle. I 5 stelle, che a governare non ci pensano nemmeno e che ripiegano sull’antagonismo ghibellino, alternano offese a esagerazioni grottesche, vomitano insulti con l’aggressività di chi ha un solo proposito: sfasciare.
Di ben altra caratura le critiche di SEL e della LN, assolutamente degni di quel consesso istituzionale. Il gruppo parlamentare vendoliano, con un discorso che qualcuno ha già accusato di addurre i soliti tormentoni dal sapore in parte marxista e in parte sessantottino, quindi prevedibile e noioso, brilla al confronto per diplomazia. La Lega s’inserisce invece con un tono da “turpiloquio educato”, infarcito di raccordi e consonanze programmatiche che tradiscono più apprezzamenti che polemiche. Provocatori ma ragionati, i contributi di SEL e LN offrono al M5S una lezione di stile politico.
Gli interventi di PD, di FI e del NCD, al di là dei diversi giudizi accordati al nuovo esecutivo – spiccano per senso programmatico. Indicano infatti percorsi politici (concreti o meno, lo vedremo) che vanno al di là di una “pagella”. Soprattutto se la “pagella” è quella dei 5 stelle, tipica del periodo pre-montessoriano.
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